di Pasquino – Mia nonna nobile diceva: “Non basta il belletto per nascondere rozze gote”.
Dopo tanta pubblicità, il fatidico giorno è arrivato. Aperte le porte del Polo elettronico ai centocinquanta espositori di prodotti locali, attentamente selezionati da Coldiretti!
L’insolita location scelta per promuovere le cibarie ha scatenato una certa curiosità in molti aquilani, che, già dal primo giorno, hanno deciso di curiosare in quei luoghi da dove, diversi anni or sono, proveniva il principale reddito del capoluogo e invece oggi trasformato in una sorta di fiera della befana. Unica differenza: al coperto!
L’ingresso che porta agli stand è stato ingentilito con un manto erboso (si proprio erba vera ) srotolato tra le le due porte di accesso.
Ai lati del fantomatico praticello delle pedane, forse recuperate dai locali dismessi, posizionate come virtuali staccionate, tanto per rendere l’ambiente più “naturale”.
Subito dopo l’ingresso e dislocate tra gli stand altissime hostes in tallieur nero ed altrettanti altissimi tacchi nr 12, danno indicazioni relativamente alla disposizione dei vari stand.
L’ambiente è ampio ed allestito in maniera “ecologica”.
Tutte le postazioni sono realizzate in cartone ed il loro colore marrone da l’impressione di un’idea “rusticamente genuina”.
Ma ciò che più di tutto salta agli occhi è la pavimentazione.
La copertura antistatica degli ambienti di lavoro è rimasta lì, e con essa ancora i segni del passaggio di muletti elettrici (le così dette sgommate) ed i limiti di demarcazione delle aree che una volta venivano riempite di materiale prodotto in quella azienda.
Chissà come si sarà sentito quel pavimento, che sino ad allora si era visto calpestato solo da calzature antiinfortunistiche e che oggi sentiva per la prima volta il leggiadro ticchettio delle scarpette delle miss.
Chissà cosa avrà pensato dell’arroganza dei singoli banchetti che non rispettavano la precisa disposizione che doveva essere fatta, determinata dalle strisce contrassegnate a terra.
Immancabile, come preannunciato, le infiltrazioni di acqua.
Dall’alto, tra l’apparente confusionario dedalo di tubi cadeva dell’acqua.
La cosa non ha scoraggiato più di tanto i nostri amici espositori che si sono organizzati con del nastro bianco e rosso per delimitare la pozza d’acqua ed il classico cartello “pavimento scivoloso”, poi con un po’ di segatura il problema è stato risolto.
Peccato che questo problema si trascina da anni, e lo stesso comune aveva dato il via ai lavori per sistemare in modo definitivo le infiltrazioni d’acqua dal tetto, che hanno sempre caratterizzato la copertura di quell’opificio.
Salumi di tutti i tipi, formaggi di ogni forma si avvicendano tra le bancarelle di turno.
L’odore è tipico delle cose mangerecce, ti avvolge l’olfatto, dopo un assaggio ti inebria il palato, il bicchiere di vino del banco successivo scatena la voglia di continuare il tour gastronomico appena iniziato.
Al termine del primo corridoio formato dai banchetti, si scorge un ambiente scuro, parzialmente accessibile, oscurato da recinzioni da cantiere coperte da fogli di cartone.
Peccato per questa maledetta pioggia che ha bagnato anche quelli…sarebbe stato davvero una bella mimetizzazione di quello che viene nascosto agli occhi di tutti: centinaia di mq deserti.
Proseguendo tra gli assaggi di salse di tartufo, fette di prosciutto tagliato a mano, marmellate di tutti i generi e tipi e dei più disparati sott’aceti si scorge un locale vuoto.
Abbandonate a loro stesse, dalla controsoffittatura, pendono ancora le plafoniere divelte dalle loro sedi dal terremoto.
Sono lì immobili letteralmente appese ad un filo in attesa che qualcuno un giorno (chissà quando) possa tornare ad utilizzarle.
Comodo e caratteristico ed esteso l’angolo del ristorante, con diversi tavolini e sedie, tutte rigorosamente di cartone, disposte per accogliere al meglio gli ospiti più affamati, vorrei vedere con tutto quello spazio a disposizione che sembra gridare:- Occupatemi.
Prima di terminare la visita al succulento mercatino ci si imbatte in un altro simbolo di quello che è stato.
Dietro un pilastro di cemento, quasi a volersi nascondere, è rimasta una struttura metallica gialla del rilevatore di presenze dove una volta gli operai “strisciavano il badge” per ufficializzare la loro presenza in fabbrica, una fabbrica oggi trasformata in una fiera!
La testimonianza che il tempo è inesorabilmente passato, ma le cose per i lavoratori della Finmek sono solo peggiorate è un comunicato del 2005 ancora affisso in una bacheca lungo il corridoio che conduce ai servizi igienici.
Speranze, sogni, lotte, iniziative, manifestazioni…tutto finito a tarallucci vino…e pecorino.