de Il Cavaliere di Saint-George – C’è qualcosa che non torna nella vicenda del povero tovarich Calderoni. I fatti ormai li conosciamo tutti: in piena orgia pre-elezioni lo stimato avvocato, nonché difensore civico del Comune di L’Aquila, faceva il suo trionfale debutto sul palcoscenico dei candidati a sindaco.
Folgorato sulla via di Damasco da un improvviso e infinito amore per gli artigiani, l’avvocato comunicava che avrebbe lasciato codici e pandette per dedicarsi d’ora in avanti alle pialle, alle seghe, ai bulini, alle cazzuole e, perché no, alle falci e ai martelli della sua supposta base elettorale.
Certo, fino ad ora la sua frequentazione della categoria degli artigiani è paragonabile a quella che Francesco Totti ha avuto delle aule della Bocconi: uno degli ultimi ramai aquilani, interrogato sul fatto se conoscesse il candidato artigiano Calderoni, ha risposto testualmente: “e chi è quissu? Ji de calderò so solo quelli che arronzo nella bottega mé!”.
Ma questi sono incidenti di percorso insignificanti, quello che conta è l’obiettivo finale: la poltrona di sindaco.
Peccato che su questa strada il tovarich Calderoni abbia incontrato quei mangiabambini di Cialente e Festuccia, rispettivamente capo del soviet e del Kgb dell’Aquila. Certo, i tempi sono cambiati e anche gli ultimi comunisti duri e puri si sono ammosciati: invece di eliminare fisicamente quel revisionista dell’avvocato artigiano, facendolo volare da una finestra del famoso hotel Lux di Mosca (come era in uso ai tempi delle purghe di quel buontempone di zio Peppino Stalin), lo hanno colpito e affondato, ironia della sorte, con un semplice cavillo legale. Per un avvocato una vera e propria nemesi dantesca.
Da qui la denuncia di Calderoni che L’Aquila è un’enclave della defunta U.R.S.S., che i destini della Città sono in mano ad un soviet blindato ed inespugnabile e che bla, bla, bla…
Questa è la versione ufficiale per noi semplici cittadini e poveri bocconi: quella che abbiamo letto sulle pagine della Pravda, pardon de Il Centro.
Ma davvero possiamo pensare che il trombatovich Calderoni credesse di contare così tanto nel grande circo elettorale fino al punto d’insidiare la candidatura a sindaco di Cialente o Festuccia da parte del Pd? Davvero possiamo credere che un avvocato esperto come lui non abbia minimamente supposto e previsto che la
sua qualifica di difensore civico del Comune avrebbe rappresentato una causa d’ineleggibilità? Mia nonna amava ripetere spesso: “quissi vogliono farci credere che Gesù Cristo s’ è morto di freddo sulla Croce”.
La vicenda, secondo me, va analizzata ad un livello più complesso, ed è frutto di una raffinata strategia di una talpa che, come nella spy story di John le Carré, muove le sue pedine nell’ombra in una sorta di doppio e triplo gioco.
Partiamo da due semplici domande. Prima di questa candidatura e della conseguente trombatura, chi conosceva e soprattutto che peso politico aveva l’avvocato Calderoni nel panorama aquilano? La risposta è: praticamente zero. Che possibilità concrete avrebbe avuto Calderoni d’insidiare la candidatura per il Pd di Cialente e di Festuccia a Sindaco? La risposta è: praticamente nessuna.
Dobbiamo allora supporre che Calderoni abbia abbandonato il camice di artigiano e la divisa dell’Armata Rossa per indossare i panni del kamikaze giapponese pronto a schiantarsi sulla prima portaerei nei paraggi? Pensare ciò sarebbe fare un torto alla sua intelligenza e, soprattutto, a quella della sua talpa ispiratrice.
Ragioniamo. Dopo tutta questa vicenda, Calderoni ha acquisito una notevole notorietà (a costo zero) e un conseguente peso politico, in base all’assioma molto in voga in questa città che il valore politico di un personaggio è direttamente proporzionale alla sua visibilità mediatica e non allo spessore dei programmi che propone.
Adesso questo peso politico basato sulla notorietà del momento è il vero valore di Calderoni e la sua merce di scambio. Può dialogare con entrambi gli schieramenti (vedi il braccio teso di Cialente e la profferta d’amore libero a De Matteis) e mettere a loro disposizione la sua fresca notorietà.
Dopo le elezioni molto probabilmente lo vedremo sedere su uno scranno di consigliere comunale o alla direzione di una municipalizzata, obiettivo primario della strategia elaborata dalla talpa. Per far ciò non avrà dovuto sforzarsi nemmeno un minuto nell’elaborare qualche proposta o progetto concreto per la rinascita economica della Città. Ma in questo l’avvocato artigiano è in buona compagnia: infatti fino ad ora non c’è stato nessun candidato (con l’eccezione di Vittorini e Di Cesare) che abbia permesso a noi cittadini di valutare la propria visione politica e soprattutto i propri progetti per L’Aquila, indicando modi di realizzazione, partner, risorse finanziarie e obiettivi prefissati.
Viva il glorioso Soviet dell’Aquila!