‘“Il problema delle infiltrazioni mafiose negli appalti per la ricostruzione in Abruzzo si è congelato. Le imprese colluse con la criminalità meridionale se ne sono andate dall’Aquila dopo aver imperversato per il primo anno dopo il terremoto del 2009 aggiudicandosi appalti vantaggiosi”.
E’ quanto emerge dalla dalla relazione annuale della Direzione Nazionale Antimafia 2013.
“L’Aquila non è più stata ricostruita, i cantieri hanno chiuso senza che ne aprissero altri – scrive il magistrato della Direzione Nazionale Antimafia, Olga Capasso, nella Relazione Annuale – e ad eccezione dei condomini privati, la città sembra dormire tra le sue macerie. Mancano i fondi e quindi l’affare non è più vantaggioso, e dove non c’è profitto, la mafia lascia campo libero. Certo, sulla fuga ha contribuito anche l’attività della Prefettura dell’Aquila, della locale Procura e della Direzione Nazionale Antimafia, con le misure di prevenzione patrimoniale e con attività di impulso per le stesse misure soprattutto presso le Procure della Lombardia e dell’Emilia Romagna ove hanno sede per lo più le imprese sospette”.
Nel contesto della ricostruzione “post sisma” in Abruzzo, tra il 1° luglio 2012 e il 30 giugno 2013, la Prefettura dell’Aquila ha emesso cinque informazioni antimafia interdittive: tre nei confronti di imprese impegnate nella ricostruzione pubblica e due impegnate in quella privata. Di queste solo una ha sede legale in Abruzzo. Le altre provengono da altre aree geografiche e sono risultate essere contigue soprattutto ad ambienti criminali dell’area campana. Complessivamente, dal 2009 a giugno 2013, sono 27 le imprese impegnate nella ricostruzione colpite da determinazioni antimafia interdittive.
Se dall’Abruzzo si passa all’Emilia Romagna, le considerazioni sono le stesse. Anzi: anche alla luce della prevenzione amministrativa antimafia dispiegata su un’amplissima platea di operatori economici – le istanze di iscrizione presentate presso la sola Prefettura di Modena, nella cui giurisdizione si trovano i centri più colpiti dal sisma, sono 4mila – il rischio è che la quota parte di imprese mafiose “geograficamente diverse” sia molto più ampia.
Operazioni sospette
C’è un altro indicatore inequivocabile che, come afferma a pagina 328 il sostituto procuratore nazionale antimafia Pier Luigi Maria Dell’Osso nel Rapporto Dna 2013, testimonia «la sinistra presenza della ‘ndrangheta – non certo occasionale né episodica, ma radicata da decenni – sui territori settentrionali». E ancora una volta l’indicatore non parte dal sud ma dal nord.
Tra il secondo semestre 2012 e il primo semestre 2013, le informative pervenute dalla Dia e alla stessa Dna evidenziano 334 segnalazioni di operazioni finanziarie sospette: 161 riferibili alla ‘ndrangheta; 95 alla camorra, 55 a Cosa nostra, 5 alla Sacra corona unita, 11 a vari altri sodalizi delinquenziali italiani e sette a organizzazioni criminali straniere.
Ebbene, su 161 segnalazioni concernenti la ‘ndrangheta, 55 interessano la Lombardia, 50 l’Emilia Romagna, 17 il Lazio, 13 il Veneto, 4 il Piemonte, 2 il Trentino Alto Adige, 3 la Toscana ,1 le Marche, 1 la Puglia, 1 la Basilicata e 6 la Sicilia. Solo 8 sono relative alla Calabria, “patria” della ‘ndrangheta. Ben 118 segnalazioni, dunque, abbracciano complessivamente Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna.
Le altre mafie
Per dare ancora un termine di paragone sull’innalzamento geografico di quella che Leonardo Sciascia chiamava la “linea della palma”, basti ancora notare che delle 95 segnalazioni di operazioni finanziarie sospette concernenti la camorra, 32 interessano la Campania, 21 il Lazio, 11 la Lombardia, 1 il Piemonte, 1 il Trentino Alto Adige, 2 il Veneto, 5 l’Emilia-Romagna, 11 la Toscana, 3 l’Abruzzo, 2 le Marche, 4 la Puglia, 2 la Calabria. Delle 55 segnalazioni concernenti Cosa nostra, 17 interessano la Sicilia, 18 la Lombardia, 3 la Liguria, 1 il Piemonte, 3 il Veneto, 2 l’Emilia-Romagna, 2 il Lazio, 9 la Puglia. Delle 5 segnalazioni concernenti la Sacra corona unita, 2 interessano la Puglia, 1 il Lazio, e 2 il Piemonte.
Sarebbe del tutto erroneo ritenere, sulla base di questi dati, che Cosa nostra e camorra siano dedite al malaffare locale e non eccessivamente interessate alla realtà economico-produttiva del Nord. «Non è assolutamente così – spiega Dall’Osso – come dimostrano numerose indagini giudiziarie. Il fatto è che, allo stato, risulta particolarmente attiva ed in crescendo la capacità operativa dei sodalizi di stampo ‘ndranghetista»