Il Dipartimento della Protezione civile sente l’obbligo di tracciare il quadro delle conseguenze che si stanno già ripercuotendo sul Servizio Nazionale della Protezione civile a seguito delle sentenze di condanna emesse ieri dal Tribunale de L’Aquila nei confronti di quattro componenti della ex Commissione Nazionale per la Previsione e la Prevenzione dei Grandi Rischi, dell’allora Vicecapo del Dipartimento della Protezione civile, del direttore dell’Ufficio Rischio sismico e vulcanico del Dipartimento stesso e dell’allora direttore del Centro Nazionale Terremoti dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia.
La prima conseguenza riguarda le dimissioni formalmente presentate al Presidente del Consiglio dei Ministri da parte dei componenti della Commissione Grandi Rischi nominata il 23 dicembre 2011, oltre a quelle del Professor Mauro Dolce, direttore dell’Ufficio rischio sismico e vulcanico del Dipartimento.
La seconda porta alla paralisi delle attività di previsione e prevenzione, poiché è facile immaginare l’impatto di questa vicenda su tutti coloro che sono chiamati ad assumersi delle responsabilità in questi settori considerati i pilastri di una moderna Protezione civile. Il rischio è che si regredisca a oltre vent’anni fa, quando la protezione civile era solo soccorso e assistenza a emergenza avvenuta. Oppure che chi è incaricato di valutare finisca per alzare l’allerta al massimo livello ogni qualvolta i modelli previsionali forniscano scenari diversificati, generando una crescita esponenziale di allarmi che provocheranno assoluta sfiducia nei confronti di chi li emette o situazioni di panico diffuso tra la popolazione. In entrambi i casi, le Istituzioni – primi fra tutti i Sindaci – che per legge hanno l’obbligo di pianificare e prendere decisioni a tutela dei propri cittadini, lo dovranno fare senza il fondamentale supporto di coloro che fino a ieri, avendo le necessarie competenze ed esperienze, fornivano valutazioni e interpretazioni sui molteplici rischi che interessano il territorio italiano e che da oggi non si sentono più tutelati dal Paese per cui prestano servizio.
In terzo luogo non si può dimenticare quanti siano i temi, drammaticamente attuali, su cui il Dipartimento della Protezione Civile rischia di perdere interlocutori essenziali: ad esempio lo sciame sismico in corso da quasi due anni nell’area del Pollino, o gli scenari di riferimento per l’aggiornamento dei piani nazionali di emergenza per i vulcani napoletani.
Se apparentemente la sentenza sembra interessare solo il mondo scientifico, è bene ricordare, infine, che tocca invece pesantemente altre realtà e professionalità cardine del Servizio Nazionale della Protezione Civile: a partire dalle centinaia di tecnici dei Centri Funzionali e dei Centri di competenza che ogni giorno si occupano di monitorare, sorvegliare e valutare i fenomeni naturali al fine dell’allertamento delle amministrazioni e delle strutture operative; ma anche i moltissimi professionisti dei numerosi Ordini che gratuitamente e volontariamente mettono a disposizione il proprio tempo e la propria esperienza in emergenza. Ultimo esempio, in tal senso, è stato il lavoro svolto nella fase post-sisma in Emilia, dove hanno contribuito allo svolgimento di decine di migliaia di verifiche di agibilità degli edifici danneggiati.
A fronte di questo quadro, ferme restando le responsabilità per le quali ognuno è chiamato a rispondere, il Dipartimento della Protezione Civile, pur garantendo di svolgere al meglio i propri compiti, auspica che le Istituzioni del Paese trovino il modo per restituire serenità ed efficienza all’intero Sistema nello svolgimento delle proprie attività.