Dal Sebastiani al Franchetti, i rebus dei rifugi abruzzesi dopo il Covid
di Marco Signori | 12 Maggio 2020 @ 07:00 | ATTUALITA'
L’AQUILA – Mete più sostenibili, niente luoghi affollati e montagna e borghi da preferire a città e stabilimenti balneari. Ma lo stop al turismo di massa porta con sé diverse incognite e appare tutt’altro che scontato da affrontare.
Anche i rifugi d’alta quota, infatti, risentiranno dell’effetto Covid.
“Sul futuro siamo molto disorientati, non ci sono indicazioni di sorta, di noi non si parla e se dovessero valere le regole di alberghi e ristoranti sarà molto difficile riaprire rispettando le misure di sicurezza”, dice Eleonora Saggioro, che gestisce il rifugio Vincenzo Sebastiani, a 2.102 metri sulla catena del Velino-Sirente, dove ogni anno pernottano circa 800 persone e, per la sua posizione, crocevia di alpinisti esperti che raggiungono le vette quanto di escursionisti della domenica che arrivano in poche ore di cammino dai piani di Pezza o da Campo Felice.
“Stavamo per riprendere le aperture dopo la stagione invernale, nella quale siamo operativi solo nel weekend, quando è scoppiata la pandemia”, racconta a L’Aquila Blog, “avevamo prenotazioni per Pasqua, primo maggio e 25 aprile. Abbiamo interrotto tutto anche con ripercussioni sulla dispensa, visto che avevamo fatto acquisti di prodotti che pensavamo di consumare in questi mesi”.
“Ho fatto qualche sopralluogo e c’è stata una ripercussione economica anche per le derrate andate a male”.
Il rifugio, aperto tre mesi d’estate, negli ultimi anni ha avuto un incremento tale delle presenze da indurre ad estendere a tutto l’anno l’apertura nei weekend, che precedentemente avveniva solo su prenotazione, tranne rari casi di condizioni meteo particolarmente avverse.
Sembra arrivare con un tempismo perfetto, intanto, l’intervento di ristrutturazione e ampliamento che dovrebbe avvenire in estate e porterà il rifugio dagli attuali 13 a 23 posti letto.
L’idea, spiega la Saggioro, sembra tuttavia essere quella di non consentire il pernotto ma solo la somministrazione dei pasti e solo all’esterno: “I rifugi sono di loro delle strutture in cui dover stare attenti e in cui andare solo se si è in ottime condizioni di salute – fa notare – perché, a partire dal fatto che si dorme insieme, non ci sono condizioni che permettono il distanziamento, abbiamo camerate con materassi uno accanto all’altro”.
“Si avrebbero delle responsabilità che è impossibile assumersi”, rileva la Saggioro, “ad esempio abbiamo l’acqua centellinata, come facciamo a sanificare gli ambienti più volte al giorno? I costi diventerebbero insostenibili”.
Anche montare una tenda in prossimità del rifugio potrebbe non far mettere al riparo dai rischi: “Da noi è sempre stato possibile farlo e in alcuni casi fornivamo noi la tenda qualora dei camminatori arrivassero tardi senza trovare posto nel rifugio, ma oggi non lo farei più perché significherebbe doverla sanificare!”.
E poi c’è l’aspetto legato al fatto che i rifugi sono presidi di emergenza, per cui in ogni momento devono poter accogliere l’escursionista che ne ha bisogno. Ma “in un caso come quello che stiamo vivendo come facciamo, ad esempio, a far entrare tutti gli escursionisti sorpresi da un temporale?”.
Scettico sul fatto che la montagna possa rappresentare la meta da preferire nel post-Covid Luca Mazzoleni, romano gestore del rifugio Carlo Franchetti, a 2.433 metri il più alto di quelli presenti sul Gran Sasso, di solito aperto da giugno a settembre e dove nei 23 posti letto pernottano fino a 1.800 persone a stagione.
“La scelta che farei è quella che ho fatto 15 anni fa vivendo a Pietracamela, dove a indossare la mascherina neanche ci pensi perché se esci di casa non incontri nessuno”, dice, “ma la montagna in generale è attrezzata fino a un certo punto perché i numeri di agosto hanno sempre messo in difficoltà chiunque. Questa potrebbe essere l’occasione per riscoprire veramente mille itinerari dove non va nessuno, penso ai monti Intermesoli o Corvo dove non trovi nessuno neanche ad agosto”.
“Se sono escursioni complicate? Neanche tanto”, afferma, “è questione di conoscere i posti, quelli famosi attirano perché famosi. Roma è qualcosa di più del Colosseo, ci sono posti che però nessuno vede”.
Anche Mazzoleni non sa ancora che scelte compiere per l’estate: “Posticiperemo l’apertura, lasciando solo i fine settimana a giugno. Se non rientra l’allarme Covid credo che non saremo aperti per il pernottamento”.
“La prevista riduzione di un terzo dei posti letto, le distanze di sicurezza tra i letti sono norme impossibili da garantire e poi è anche una questione di responsabilità, in una camerata con coperte comuni e pareti in legno non riesco a sanificare ogni giorno”, fa osservare.
“Sto rimandando indietro gli acconti dei gruppi che avevano prenotato – rivela – da Germania, Slovacchia e Grecia non hanno potuto far altro che rinunciare e li stiamo rimborsando”.
“A inizio giugno di solito portiamo i rifornimenti con l’elicottero, quest’anno ritarderò il volo anche perché non so che investimento fare, forse porterò la metà della roba e se necessario farò tornare l’elicottero una seconda volta”, conclude Mazzoleni, che in fondo il bicchiere lo vede mezzo pieno: “Siamo sopravvissuti al terremoto e a cabinovie chiuse per anni, nei limiti del possibile ne usciamo anche stavolta”.