Crolli via Campo di Fossa. Della Vigna: “Sentenza illogica e da impugnare”
di Marianna Gianforte | 13 Ottobre 2022 @ 06:00 | CRONACA
L’AQUILA – “Questa sentenza dev’essere assolutamente impugnata, perché lascia sgomenti la concorsualità delle vittime stesse nella causa del danno. Anche perché a questo punto è un criterio che si può estendere ad altri casi e questo è inaccettabile”. Si dice basita e sconcertata l’avvocata Wania Della Vigna nel leggere le poche righe note (la motivazione dev’essere pubblicata) della sentenza emessa ieri dal tribunale civile dell’Aquila, che ha riconosciuto, tramite la giudice Monica Croci, una corresponsabilità del 30% di alcune delle 24 vittime dei crolli in via Campo di Fossa in seguito alla scossa di magnitudo 6.3 avvenuta nella notte del 6 aprile, alle 3,32.
Una sentenza che ha risvegliato la città dal torpore di un lungo autunno che ha visto forse un po’ assopire l’istintiva reazione e l’attenzione civica che per dieci anni sono rimaste invece alte sulle vicende processuali del terremoto. Della Vigna non segue questo specifico procedimento relativo al crollo di una palazzina di via Campo di Fossa, ma conosce a fondo la materia avendo per 13 anni seguito diversi famigliari delle vittime del terremoto del 6 aprile 2009, tra cui quelli della Casa dello studente e, più di recente, anche del terremoto di Amatrice del 2016 e della valanga che ha travolto l’hotel Rigopiano, a Farindola, nel 2017. Al suo fianco, nelle battaglie processuali, ma anche civiche, per affermare verità e giustizia sui crolli del terremoto, c’è sempre stata Antonietta Centofanti, zia di un giovane morto nel crollo della Casa dello studente. Antonietta non c’è più, e chissà come avrebbe reagito nel leggere la sentenza del tribunale civile.
Per Della Vigna la motivazione della sentenza è “palesemente illogica e contraddittoria per due motivazioni innanzitutto. Gli enti e le altre parti condannate avevano l’obbligo giuridico di tutelare e di proteggere l’incolumità delle persone che vi abitavano e questo motivo è assorbente rispetto a qualsiasi altra negligenza. Un secondo aspetto fondamentale – aggiunge Della Vigna – è che e il comportamento delle vittime alle 3,32 del 6 aprile non incide assolutamente sul processo ‘produttivo’ dell’evento, crollo e morte: non c’è alcun nesso. E poi, non si può dimenticare un fattore importante: e cioè che c’era stato un messaggio tranquillizzante che riferiva di uno scarico di energia dello sciame sismico in atto, da parte del vicecapo della protezione civile nazionale, Bernardo De Bernardinis, che è stato anche condannato con sentenza passata in giudicato per quel messaggio tranquillizzante”.
“Messaggio rassicurante di rimanere dentro le abitazioni poichè – ricorda Della Vigna – c’era una positività delle frequenze delle scosse e della loro inefficacia a poter scatenare un forte evento distruttivo. Così risulta da una sentenza penale passata in giudicato ma anche da tante sentenze civili emesse proprio dal tribunale civile dell’Aquila”.
In un passaggio della sentenza firmata dalla giudice Croci in composizione monocratica si legge: “E’ fondata l’eccezione di concorso di colpa delle vittime costituendo obiettivamente una condotta incauta quella di trattenersi a dormire nonostante il notorio verificarsi di due scosse nella serata del 5 aprile e poco dopo la mezzanotte del 6 aprile”, parole che hanno gettato nello sconforto e nello sconcerto la comunità aquilana e soprattutto i famigliari delle vittime, che erano mamme, padri, figli, fratelli e sorelle, amici anche di coloro che oggi non ci stanno a vedere etichettati i loro famigliari come corresponsabili della loro morte da parte della stessa magistratura, alla quale si sono rivolti per avere giustizia. Per la giudice Croci le vittime del terremoto del 2009 sono responsabili di un “concorso che può stimarsi nel 30%”, la misura di cui verrà decurtato il risarcimento danni stabilito, riconoscendo una corresponsabilità delle vittime ricorrenti (gli eredi delle vittime hanno citato in giudizio i ministeri dell’Interno e delle Infrastrutture, il Comune dell’Aquila e gli eredi del costruttore) perché ha ravvisato una imprudenza nella loro scelta di non uscire di casa dopo la seconda scossa della notte tra il 5 e il 6 aprile, ossia a ridosso dell’una, condannando i ministeri al 15% di responsabilità ciascuno, gli eredi del costruttore al 40% di responsabilità, ha respinto le domande nei confronti del Comune e, infine, il 30% di corresponsabilità di coloro che sotto le macerie hanno perso la vita.
SCIMIA: SENTENZA FEROCE E POLITICA, VOGLIO PENSARE CHE QUESTA GENTE ABBIA LE NOSTRE STESSE ‘FORTUNE’
“Una sentenza feroce, politica, violenta e soprattutto raffazzonata”. Così Aldo Scimia, al quale il terremoto del 6 aprile 2009 ha portato via sua madre sotto i crolli della frazione di Onna, devastata letteralmente dalla scossa delle 3,32, commenta la sentenza con cui il tribunale civile dell’Aquila ha stabilito la corresponsabilità del 30% di alcune delle 24 vittime dei crolli in via Campo di Fossa in seguito alla scossa di magnitudo 6.3 che nella notte del 6 aprile uccise 309 persone:
“Aspetterò di leggere le carte per cui voglio mantenere una sobrietà che, però, non ha adottato la giudice del tribunale civile dell’Aquila. Quando ho letto il titolo del primo articolo nel quale mi sono imbattuto, me ne sono andato con il mio dolore a lavorare nell’orto che mi ha lasciato mia madre, deceduta sotto le macerie della sua casa. Una casa per la quale a 13 anni dal sisma ancora non ottengo il permesso a costruire. Una sentenza come quella della Corte d’Appello dell’Aquila (che aveva ribaltato il verdetto del tribunale, assolvendo ‘perché il fatto non sussiste’ i sei membri tecnici della ‘commissione grandi rischi’ e confermando la condanna del solo vice presidente della Protezione civile, De Bernardinis, che in un’intervista televisiva rassicurò i cittadini sulle scosse, ndr) che merita solo silenzio. In questo momento, tutto quello che poso dire, è che mi piacerebbe pensare che questa gente (i giudici, ndr) avesse le stesse ‘fortune’ nostre”.