Covid e controllo popolazione, l’antropologo: come all’Aquila nel 2009 rischio emergenza democratica
di Marco Signori | 22 Aprile 2020 @ 07:15 | ATTUALITA'
L’AQUILA – “Il monitoraggio informatico del distanziamento sociale risponde a una necessità concreta e grave di contenimento del rischio contagio ma allo stesso tempo apre a un rischio concreto e grave di controllo biopolitico digitale della nuda vita delle persone”.
È la valutazione di Antonello Ciccozzi, antropologo dell’Università dell’Aquila, professore associato di Discipline demoetnoantropologiche al dipartimento di Scienze umane.
“Non va negata né l’effettività, la realtà del virus, e l’onere di mettere in gioco protocolli, tecniche e politiche di contenimento della pandemia globale che ad ora ci ha dato solo un accenno della sua potenza, né va negata l’evidenza che da subito le strategie di contenimento del contagio sono propedeutiche al contagio di un autoritarismo commissariale che usa l’emergenza in modo parassitario”, fa osservare Ciccozzi, “che fa del pretesto della cura delle persone un’occasione di governo delle masse”.
“L’emergenza coronavirus può innescare emergenze derivate: da un lato l’emergenza naturale del disastro pandemico globale, dall’altra quella culturale del disastro biopolitico”, aggiunge il professore.
“Quindi, se sarà in una certa misura inevitabile ammettere delle forme di controllo digitale degli spazi pubblici”, valuta Ciccozzi a proposito dell’ipotesi dell’utilizzo di un’app per tracciare gli spostamenti delle persone, “sarà altrettanto necessario sorvegliare questi dispositivi di sorveglianza con adeguati strumenti bioetici, finalizzati a contenerne la pulsione dispotica”.
“Far finta che il virus non esiste è altrettanto ingenuo e dannoso che far finta che non esiste il dispotismo che s’insinua nel pretesto della cura del male”, fa osservare l’antropologo.
Per Ciccozzi è insomma “una questione di misura” e alla domanda se nella situazione attuale si possano rintracciare dei parallelismi con l’emergenza terremoto del 2009, quando fece molto discutere il sistema di controllo della popolazione sfollata, risponde come “esiste sia l’emergenza, sia le pulsioni di controllo, vanno considerate entrambe e vanno monitorate perché sappiamo che questi dispositivi tendono per loro natura ad eccedere rispetto alla funzione per cui sono stati pensati”.
“All’Aquila abbiamo sperimentato un eccesso di controllo rispetto a quelle che erano le necessità, postulare però in modo aprioristico lo stato di eccezione pensando che l’emergenza non esiste è un esercizio ideologico”, chiarisce.
“Non si stanno utilizzando dei pretesti per utilizzare forme di controllo”, chiarisce il professore, “perché i rischi che i contagi possano tornare a crescere sono realistici, bisogna capire quali sono gli effetti collaterali della cura”.
“Le emergenze solitamente innescano emergenze derivate dovute proprio alle soluzioni messe in campo”, ragiona Ciccozzi, “non escludo che la soluzione che si mette in campo per affrontare un’emergenza virale possa portare a un’emergenza democratica, senza considerare che il controllo digitale di fatto lo abbiamo da anni e questo non sarebbe altro che un pretesto per una forma più virulenta”.
“Esiste il problema per cui questa soluzione si pone ed esiste il problema posto dalla soluzione”, fa osservare il professore, per il quale “vanno considerati tutti e due gli aspetti”.
Bisogna insomma sia “uscire dall’autoritarismo che arriva da certi virologi già in odor di tecnocrazia sanitaria che vedono solo il virus e propongono una tabula rasa democratica per combatterlo, sia da un certo idealismo radicale presente soprattutto in ambito umanistico in cui si è arrivati a postulare l’inesistenza dell’epidemia, per ridurre l’emergenza da realtà in atto a mero costrutto biopolitico. In quest’ultimo caso certi dogmatismi rivelano non solo dei tentativi di forzatura teorica sulla realtà ma pericolosi ammiccamenti rassicurazionistici che, riducendo la percezione del rischio, possono portare a un aumento dei contagi. Magari un confronto etnografico con la realtà dei reparti ospedalieri sovrastati dai contagi avrebbe consentito una maggiore prudenza teoretica; come pure una maggiore consapevolezza sui rischi di dispotismo digitale aiuterebbe certi virologi ormai già politologi ad alleggerire gli armamenti”.