Covid-19: cosa c’è intorno ad un letto di terapia intensiva. Allarme Abruzzo
di Matilde Albani | 18 Novembre 2020 @ 06:30 | ATTUALITA'
L’AQUILA – Il numero di pazienti ricoverati in terapia intensiva, rimane un indicatore fondamentale per capire il peso del Covid. Il reparto di Anestesia e Rianimazione garantisce un supporto clinico, h 24, che non può essere assicurato in altri reparti. In Abruzzo i positivi ricoverati ieri in terapia intensiva sono 66 con una soglia di allarme fissata al 30%, quindi già ampiamente superata. Giustino Parruti, direttore della Uoc della Asl di Pescara, componente del comitato tecnico scientifico, ha lanciato l’allarme: “Certificare che il 32% delle terapie intensive sono occupate da pazienti covid, significa confermare che siamo vicini alla saturazione, perché le terapie intensive servono anche per tutte le altre patologie”.
Secondi i dati del governatore, Marco Marsilio, i posti letto nei presidi pubblici prima del Covid erano 94. Sono stati portati a 123 usando 17 ventilatori delle case di cura private e 12 della terapia ematologica dell’ospedale di Pescara. L’attuale dotazione è 119, ottenuta aggiungendo 25 posti di nuova realizzazione. Altri 51 sono in corso di realizzazione per raggiungere l’obiettivo posto dal Decreto Rilancio: per attuare tale piano, il Presidente Marsilio è stato delegato come Commissario dal Commissario Straordinario Arcuri solo l’8 ottobre scorso, e sono già state affidate le progettazioni, e in alcuni interventi sono in corso le procedure di appalto dei lavori. Tra i posti aggiuntivi già attivi ve ne sono 4 di T.I. pediatrica: prima del Covid in Abruzzo non ne esisteva nemmeno uno, i bambini gravi andavano fuori Regione.
VESTIZIONE
Prima cosa la vestizione, il rischio contagio è elevato e può essere scongiurato solo con i dispositivi di protezione individuale, sopra il classico camice di cotone deve essere indossato un camice impermeabile chirurgico, con i lacci di chiusura sulla schiena. I guanti spesso vengono fissati con nastro adesivo per farli aderire al camice. Sul volto, c’è la mascherina FFP2 e la visiera trasparente. I turni di solito coprono tre fasi della giornata: dalle 8 alle 14, dalle 14 alle 22 e, il turno di notte, dalle 22 alle 8. Il carico di lavoro è tale per cui questi orari, però, rimangono solo sulla carta. Tra un turno e l’altro c’è il passaggio di consegne tra i medici che finiscono il turno e quelli che iniziano a lavorare. Non esiste un rapporto fisso tra numero di rianimatori e pazienti. Può variare da uno a quattro, cioè un rianimatore che monitora quattro pazienti, a uno a dodici nel caso dei turni di notte. Non può variare, invece, il rapporto tra numero di infermieri e malati: deve essere sempre di uno a due nel caso di pazienti critici, cioè un infermiere ogni due pazienti. Nel reparto di terapia intensiva, il lavoro dell’infermiere è essenziale, perché i malati sono spesso incoscienti e hanno bisogno di un’assistenza continua.
APPARECCHIATURE
Per curare le forme gravi di COVID-19, lo strumento più utilizzato è il ventilatore, vale a dire una macchina che respira al posto del malato, che porta una miscela di ossigeno e altri gas nei polmoni, e poi la riporta fuori. In Abruzzo se ne contano 41 forniti dal Commissario Arcuri ma ne risultavano 17 ancora inutilizzati. Sempre Marsilio ha precisato che “11 non hanno superato il collaudo (sono quindi inutilizzabili) e gli altri sarebbero stati messi in funzione progressivamente seguendo l’andamento del fabbisogno, come è regolarmente accaduto”. “Un posto di terapia intensiva non si crea solo accendendo un ventilatore. C’è dietro tutta una struttura, ci sono competenze difficile da moltiplicare. Perché non si moltiplicano i letti senza utilizzare infermieri e rianimatori. Un rianimatore ci vogliono anni a formarlo, e più posti letto segue, più è difficile per lui curare i pazienti”, dice il direttore di microbiologia e virologia all’Università di Padova Andrea Crisanti, durante la trasmissione Agorà su Rai Tre, commentando le affermazioni del commissario Arcuri, secondo il quale le terapie intensive non sono ora sotto pressione, perché i posti sono aumentati fino a 10.000 e attualmente ci sono circa 3.300 pazienti Covid ricoverati. Il professor Crisanti ha poi sottolineato quello che definisce un “paradosso”: “più posti aggiuntivi si creano nelle terapie intensive meno pressione c’è e più il virus si diffonde. Così facendo, alla fine della pandemia, si scoprirà che le regioni con più posti in rianimazione avranno fatto più morti”.
L’intubazione è l’opzione più invasiva: serve per sostituire quasi completamente la respirazione. Quando le condizioni migliorano, i polmoni iniziano a funzionare abbastanza per rendere inutile l’aiuto del ventilatore: a quel punto si riduce piano piano il lavoro del ventilatore e i pazienti iniziano a respirare da soli.
Se è vero che il tasso di occupazione delle terapie intensive e posti letto è solo uno dei criteri adottati per far considerare una regione in zona arancione o rossa, è indiscusso che proprio qui, si concentrano gli sforzi professionali e tecnologici per mantenere in vita i pazienti. Con l’emergenza dei reparti di rianimazione, parola che in Italia è sinonimo di terapia intensiva, si misura, dunque, tutta l’efficienza della sanità anche perchè non si prendono cura solo dei malati di covid-19. Ma questa è un’ulteriore emergenza.