Coronavirus, Uil Pa: “Smart working nelle carceri abruzzesi può funzionare”
di Redazione | 27 Aprile 2020 @ 16:00 | ATTUALITA'L’AQUILA – “Se volessimo fare un quadro generale della situazione non potremmo che rifarci a quanto detto dal segretario generale della Uil Pa Nicola Turco per cui, nonostante il massivo ricorso operato d’urgenza, lo smart working ha dimostrato di costituire un ottimo strumento di flessibilità della prestazione lavorativa, favorendo altresì anche il contenimento del contagio da Covid-19 e la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori”.
A dirlo sono il segretario generale Franco Migliarini e il componente della segreteria regionale Uil Pubblica amministrazione Uil Pubblica amministrazione Abruzzo Mauro Nardella che comunicano che “superate le primissime difficoltà operative, nelle carceri abruzzesi la percentuale degli smart workers ha raggiunto un’ottima percentuale della popolazione lavorativa complessiva, dimostrando che una buona parte delle attività, grazie anche alle moderne tecnologie, possono oggi essere svolte anche da remoto”
Secondo la Uil pa Abruzzese, quindi, “tale evidenza deve tradursi nel futuro in una nuova sfida che è quella di sostenere il ricorso al lavoro agile ben oltre il 10 per cento minimo previsto dalla vigente disciplina in materia, con conseguenze positive sia per quanto riguarda la conciliazione delle esigenze familiari con quelle lavorative sia per contenere le esigenze di mobilità, con ricadute positive su inquinamento ed ambiente”.
“Anche noi, così come già espresso da Turco, apprezziamo, quindi, l’auspicio del Ministro della pubblica amministrazione Fabiana Dadone che ha dichiarato che – una volta cessata l’emergenza – tale occasione venga colta per elevare la percentuale dei lavoratori in smart working a circa il 30-40 per cento dei lavoratori della pubblica amministrazione – dicono -. Condividiamo tale ipotesi e siamo convinti che tutto ciò presupponga necessariamente un cambiamento culturale in materia di organizzazione del lavoro ed una rivisitazione del concetto di produttività che dovrà avere parametri diversi da quelli utilizzati per la prestazione lavorativa ordinaria”.
“Lo ribadiamo anche noi – aggiungono – se finora lo smart working ha stentato a decollare la causa può essere rinvenuta, oltre che nella evidente mancanza di investimenti in termini di risorse economiche e strumentali, soprattutto – come testimoniato dall’emergenza Covid-19 – nella diffidenza di una buona parte della dirigenza, nella sfiducia rispetto alle capacità di autodeterminazione dei lavoratori e, non da ultimo, nell’assenza di un approccio organizzativo del lavoro correlato principalmente alle effettive competenze dei personale e non alla mera presenza fisica”.
“A tal proposito non possiamo non risaltare la testimonianza di due operatori penitenziari che hanno, seppur differentemente l’uno dall’altro, dovuto affrontare non poche peripezie pur di farsi strada in questo nuovo percorso organizzativo – dicono i due sindacalisti -. Parliamo di Dimitri Bernardi, un ipovedente attualmente in aspettativa non retributiva, al quale gli è stata rigettata e per motivi a noi sconosciuti l’istanza risulta già stata resa pubblica e della psicologa del presidio tossicodipendenti del carcere di Pescara Maria Esposito Marroccella anch’ella , seppur costretta ad arrampicarsi quasi sugli specchi per raggiungere l’agognato obiettivo, sta portando a contemperare ottimamente l’esigenza di difendersi dalle insidie del covid-19 con quella che hanno i detenuti ristretti nell’istituto penitenziario di vedersi supportare nelle insidie dettate dalla carcerazione”.
“Vedasi a tal proposito la relazione sotto riportata. Considerato quanto di buono emerso dall’esperienza sinora maturata si spera, quindi, che d’ora in poi la diffidenza della classe dirigente non sia più essere d’ostacolo al positivo utilizzo di una metodologia di lavoro nei confronti della quale i lavoratori hanno peraltro dimostrato di essere molto più pronti e reattivi dei propri datori di lavoro”, concludono.