Coronavirus, parla ristoratore abruzzese in Cina
"Va meglio ma ora sono preoccupato per l'Italia"
di Mariangela Speranza | 02 Marzo 2020 @ 06:07 | ATTUALITA'
SHANGHAI – “Da qualche giorno, si inizia a vedere più gente in giro: i media hanno cominciato a parlare di una progressiva diminuzione di casi di infezioni e lo stesso governo cinese sta invitando le persone a uscire, specialmente quelle che vivono nelle aree meno colpite dal Coronavirus. Al momento però sono più preoccupato per la situazione in Italia, vista la diffusione del contagio nelle regioni del nord”.
A parlare è Bruno Ferrari, ristoratore originario di Guardiagrele (Chieti) che vive a Shanghai, la seconda città più popolosa del mondo, con i suoi 24 milioni di abitanti e che, nonostante sia situata a oltre 9 ore di macchina dal focolaio dell’epidemia, conta comunque moltissimi casi di infezioni da Covid-19.
Una città deserta sin dal momento in cui si è iniziato a capire che qualcosa non andava e che come un po’ tutta la Cina, nei giorni scorsi si è trovata ad affrontare l’emergenza sanitaria. Ora però, dopo la diffusione della notizia per cui i nuovi casi al di fuori dell’Hubei si sarebbero ridotti a qualche decina, il numero più basso dall’inizio dell’epidemia, le sue strade hanno iniziato a gradualmente a ripopolarsi e a tornare alla normalità, anche se con tutte le precauzioni del caso.
“Paralizzare metropoli del calibro di Shanghai o Pechino significherebbe condannare tutta l’economia cinese – spiega il giovane abruzzese raggiunto da L’Aquila Blog – . È per questo che il governo ha fatto subito in modo di contenere la diffusione del virus con una serie di misure e piani di emergenza che, dai controlli serrati nei luoghi di transito, come le stazioni e gli aeroporti, alla chiusura temporanea degli esercizi commerciali, hanno negli ultimi tempi iniziato a dare i loro frutti”.
Ferrari, che a Shanghai è titolare del ristorante abruzzese “Parco della Majella”, precisa infatti che “il 90 per cento dei locali non hanno lavorato almeno fino a qualche giorno fa e quei pochi che hanno provato ad aprire hanno subìto varie ispezioni da parte della polizia e degli uffici dell’igiene”.
“Chi ha deciso di riaprire è adesso soggetto a controlli serratissimi – aggiunge – sia per quanto concerne la pulizia e la disinfezione dei locali, che per le modalità di preparazione e cottura delle pietanze servite. Ogni dipendente, inoltre, deve essere registrato alla polizia sin dal giorno in cui è tornato al lavoro e, nel caso in cui sia appena stato fuori città, stare in quarantena per 14 giorni. Con delle ovvie eccezioni per coloro che negli ultimi tempi hanno visitato le regioni dell’Hubei e che al momento hanno il divieto totale di entrare a Shanghai”.
La maggior parte delle morti e delle infezioni sono state infatti registrate a Wuhan, dove il virus ha fatto la sua comparsa a dicembre, per poi raggiungere il suo picco in concomitanza del capodanno cinese che, come spiega lo stesso Ferrari “è il periodo in cui in genere i centri abitati brulicano maggiormente di persone, sia autoctoni che turisti”.
“Quest’anno non è stato così – prosegue il ristoratore – , ma lì per lì non mi sono reso conto più di tanto della situazione: in quelle settimane avevo deciso di chiudere, un po’ perché i cinesi che vogliono festeggiare questa ricorrenza, preferiscono consumare cibo tradizionale, un po’ perché chi è di fuori coglie l’occasione per andare in villeggiatura. Avevo provato a riaprire le porte del locale circa 2 settimane fa, ma purtroppo in giro non si vedeva nessuno e quel punto ho deciso di lavorare solo con l’asporto”.
Ora però la situazione sembra essere nettamente migliorata, tanto che Bruno Ferrari ha deciso di tornare in piena attività nel giro di una settimana, non senza attuare tutte le precauzioni del caso.
Un piccolo passo verso il ritorno alla normalità insomma, che se da un lato lo lascia ben sperare, dall’altro lo porta con la mente alla sua famiglia e all’Italia, dove ad oggi il bilancio del Coronavirus parla di 17 morti, 45 guariti, 248 ricoverati con sintomi, 56 in terapia intensiva e 284 in isolamento domiciliare.
“Al momento sto guardando con attenzione alla situazione italiana che, per qualche motivo, mi preoccupa maggiormente rispetto a quella cinese, nonostante mi sia trovato ad affrontare quest’ultima in prima persona – conclude – . Non tanto perché ho paura che i miei connazionali non siano in grado di fronteggiare, o comunque di contenere, l’eventuale diffondersi dell’epidemia ma per i risvolti che si potrebbero avere sia a livello sociale che economico. Ho già letto di vari episodi di razzismo o di casi in cui il panico ha preso il sopravvento. L’unica cosa che mi sento di consigliare a tutti è di agire con criterio e di affidarsi alle istituzioni, ma senza permettere che il virus vada a intaccare più di tanto la normalità”.