Coronavirus, Padovani: “Nei call center lavoratori di serie A e B”
di Redazione | 13 Marzo 2020 @ 09:13 | ATTUALITA'
L’AQUILA – “Dopo 10 anni dalla prima Zona Rossa che ha sconvolto la vita di tutti noi, ci ritroviamo con una fetta di popolazione aquilana (e non) messa difronte ad una scelta: preservare la propria salute o andare a lavorare. Ad oggi i lavoratori dei call center aquilani si riversano per le strade della nostra amata città per raggiungere i poli industriali nei quali lavorano dalle quattro alle otto ore al giorno. I più fortunati spostandosi nel Comune, ma altri affrontando viaggi di ore e troppo spesso in balia dei mezzi pubblici regionali che stanno anche diminuendo la quantità di servizio in maniera preventiva”.
Lo denuncia in una nota Gianni Padovani della direzione nazionale del Psi, ex consigliere comunale dell’Aquila.
“Il contagio li spaventa, ma il senso del dovere li smuove giornalmente a recarsi a lavoro. Restare a casa sembra un miraggio soprattutto perché le aziende restano aperte e l’unico modo di assentarsi è ricorrere alle ferie o agli ammortizzatori sociali che ridurrebbero drasticamente lo stipendio di ognuno di loro”.
“Questi lavoratori”, continua Padovani, “si sono ritrovati davanti aziende che sembrano dover essere sollecitate dalla politica e dalle autorità per rispettare quelli che ormai sono diventati i 10 comandamenti di prevenzione per il contagio. Le mascherine non sono state fornite ed i guanti tardano ad arrivare in sede. Le distanze di sicurezza di un metro tra un operatore e l’altro sono state imposte solo dopo che i lavoratori hanno iniziato a lamentare un malessere psicologico crescente, un senso di pericolo ed inadeguatezza dovendo condividere con altre 100 persone una stanza nella quale lavorare”.
“Molti hanno facilitato la disposizione cosiddetta ‘a scacchiera’ restando a casa, altri continuano invece a recarsi in postazione e a disinfettarla con prodotti igienizzanti aziendali e personali che iniziano a scarseggiare”.
“Non dimentichiamoci che stiamo parlando di uno dei più grandi settori occupazionali della città, che racchiude giornalmente in stabili alle volte inadeguati dalle 100 alle 500 persone”, ricorda Padovani.
“Questi temerari lavoratori sono gli stessi ai quali telefoniamo giornalmente per una necessità legata al nostro telefonino o la nostra connessione internet, gli stessi che ci permettono di sederci sul divano rilassati a guardare un film e verificare che il decoder stia funzionando, ma anche quelli che si preoccupano di aiutarci per gestire quelle pratiche che ci permettono di restare a casa con gli ammortizzatori sociali o che controllano il nostro conto corrente, le bollette, le forniture di luce e gas… sono lavoratori essenziali, ma soprattutto sono uomini e donne spaventate come tutti noi che abbiamo la possibilità di lavorare da casa”.
“Le aziende”, aggiunge l’ex consigliere, “sembrano solo ora di aver deciso di iniziare lentamente la procedura dello Smart working, forse già troppo tardi rispetto all’entità del problema, a causa di tardive autorizzazioni da parte dei clienti”.
“I lavoratori vanno tutelati, a tutti i livelli, ma soprattutto va tutelata la loro salute e quella dei loro familiari che potrebbero comunque essere messi a rischio viste le ancora troppo precarie condizioni di tutela”.
“La tasca di pochi non dovrebbe guidare le sorti di molti, quello che ci vuole è lucidità e raziocinio, ma anche sensibilità e correttezza verso chi è restato a casa per precauzioni o chi si sente in dovere di adempiere al proprio lavoro. Basta con i lavoratori di serie A e quelli di serie B! Vergogna!”, conclude Padovani.
Interviene anche Venanzio Cretarola, sindacalista Cisal: “Siamo stati trattati come terroristi, solo perché già da una settimana scriviamo quello che ora scrivono tutti, e lo scriviamo per tentare di evitare la chiusura totale”.
“Scriviamo che i Call Center sono il luogo di lavoro maggiormente a rischio che richiedevano immediate misure di sicurezza, per i lavoratori e per tutta la popolazione circostante. Centinaia di persone a stretto contatto nello stesso unico ambiente ogni giorno: Basta attivare un singolo neurone per capirlo. Scriviamo che nei decreti governativi non se ne parla nemmeno”.
“Già da una settimana chiediamo a Comdata di ridurre il personale in servizio per poter diradare le postazioni di lavoro e garantire le massime condizioni di sicurezza, con sanificazione continua, non solo episodica, delle postazioni. Ha detto che non era necessario perché la distanza di 1 metro era garantita: una autentica sciocchezza”.
“Salvo contraddirsi pochi giorni dopo, ma solo a seguito del caso positivo al Virus nella sua sede di Roma, facendo esattamente ciò che chiedevamo quando eravamo accusati di farlo ‘strumentalmente’. Vergogna!”, tuona Cretarola.
“Scriviamo da una settimana anche a Inps e Comdata chiedendo una riduzione concordata delle attività non indifferibili per ridurre la presenza e garantire misure di prevenzione senz’altro ottimali. Proprio per non essere costretti a chiudere tutto, consapevoli che il telelavoro richiede tempi più lunghi”.
“Nessuna risposta. Nell’ultimo decreto del Governo nemmeno una parola sui Call Center, noi non ci limitiamo a scrivere “#tuttoandràbene” consegnando cioccolatini invece di presidi sanitari. Noi non ci limitiamo a sperare, noi per primi ci stiamo impegnando affinché nei Call Center non accada nulla. E affinché i servizi veramente essenziali siano garantiti, ma nella massima sicurezza. Noi lottiamo affinché tutto, da subito, vada bene. Non vorremmo doverci ridurre ad indicare i responsabili se #tuttononandràbene”, conclude Cretarola.