Contro il covid-19, l’amore ha sempre l’ultima parola, perché l’amore vince
L’omelia del Cardinale Giuseppe Petrocchi per la V Domenica di Quaresima
di don Daniele Pinton | 30 Marzo 2020 @ 22:41 | CREDERE OGGIL’AQUILA – Nella celebrazione eucaristica della V Domenica di Quaresima, celebrata a porte chiuse e trasmessa sui social dalla Cappella di San Pio X al Torrione (L’Aquila), ieri 29 marzo 2020, il Cardinale Arcivescovo Giuseppe Petrocchi, nel commentare il vangelo che narra la risurrezione di Lazzaro (Gv 11,1-45), dopo aver soffermato la sua attenzione sul tema della fede nelle sorelle di Lazzaro, afferma che ‘la professione di fede spalanca a Marta un orizzonte stupendo: «Gli rispose: “Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo”» (v. 27). Questo colloquio, imprevisto e quasi abbagliante, lascia intuire il motivo della condotta di Gesù: Egli vuole accompagnare le persone che ama oltre la soglia della sofferenza (che spesso non impedisce), per introdurle in una dimensione divina, dove può essere attinta una ricchezza infinitamente più grande di ogni valore umano, per quanto degno e nobile’, mentre dal dialogo con Maria sottolinea come ‘nella esposizione seguente, c’è un particolare che rivela un aspetto toccante della personalità di Gesù: la sua umanità dai “sentimenti belli e forti”. Infatti, la pagina evangelica sottolinea che mentre si avvicinava al sepolcro, Gesù si mostrò molto turbato e si commosse profondamente, fino a scoppiare in pianto (cfr. vv. 33-38). Compaiono registri emotivi molto intensi, che attestano un amore pronto a vibrare per “con-passione” e capace di fedeltà eterna all’amicizia, qualunque cosa accada’.
Il Cardinale Arcivescovo trae occasione non solo per toccare il tema della fede, ma anche quello dell’umanità di Cristo, che si manifesta nelle lacrime d’amore per la morte di un amico. Già in altre occasioni, il cardinale Petrocchi ha avuto modo di rimarcare come le persone abbiano il diritto delle lacrime, ‘il diritto di soffrire’. Da questo ‘diritto’ scaturisce la forza dell’amore. Un amore che va oltre i progetti umani, ma che si innesta nel progetto di Dio.
E sulla resurrezione di Lazzaro, ricorda un commento molto significativo fatto da Papa Francesco durante l’Angelus celebrato in Piazza San Pietro il 6 aprile 2014, nella V Domenica di Quaresima, dove afferma che ‘Dinanzi alla tomba sigillata dell’amico Lazzaro, Gesù gridò a gran voce: Lazzaro, vieni fuori!. Questo grido perentorio è rivolto ad ogni uomo, perché tutti siamo segnati dalla morte, tutti noi; è la voce di Colui che è il padrone della vita e vuole che tutti “l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10). Cristo non si rassegna ai sepolcri che ci siamo costruiti con le nostre scelte di male e di morte, con i nostri sbagli, con i nostri peccati. Lui non si rassegna a questo! Lui ci invita, quasi ci ordina, di uscire dalla tomba in cui i nostri peccati ci hanno sprofondato. Ci chiama insistentemente ad uscire dal buio della prigione in cui ci siamo rinchiusi, accontentandoci di una vita falsa, egoistica, mediocre. “Vieni fuori!”, ci dice, “Vieni fuori!”. E’ un bell’invito alla vera libertà’.
Ma proprio questo ordine di Cristo rivolto non solo a Lazzaro, ma anche a ognuno di noi di uscire dalla tomba, è occasione per il Cardinale Arcivescovo di parlare del ‘miracolo’ della vittoria sulla morte. Un miracolo che in questo tempo di emergenza sanitaria si esprime nell’amore e nella solidarietà di molti uomini e donne che con il loro impegno e coraggio hanno donato la loro vita per salvare le vite di molti colpiti dal coronavirus. ‘Le cronache quotidiane riportano l’avanzata omicida del virus-killer Covid-19. Ma, al tempo stesso, siamo informati di una straordinaria mobilitazione della solidarietà. Ci vengono raccontati gli atti eroici compiuti da medici, infermieri, forze dell’ordine, uomini delle Istituzioni, volontari e sacerdoti. Molti hanno testimoniato una dedizione totale: fino al dono della vita. Questi gesti sono sacri, perché rappresentano una “epifania” di Dio. Un giorno, spero non lontano, potremo raccogliere i nomi di questi “martiri” e onorarli come meritano. Siamo fieri di averli come fratelli nel Signore e come concittadini. Tali eventi rimarranno scritti, con l’inchiostro indelebile della carità, negli annali di questo secolo. Le “orde” invasive di coronavirus saranno fermate dalla barriera dell’unità: sociale, culturale e ecclesiale. Barriera invalicabile, perché resa salda dall’amore reciproco. E l’amore ha sempre l’ultima parola, perché l’amore vince! Ricordiamo nella preghiera tutti coloro che hanno perso la vita; partecipiamo, con fraterna vicinanza, al dolore straziante dei familiari; stringiamoci, con prossimità samaritana, a quanti sono stati colpiti da questo contagio; innalziamo un’orazione speciale per quanti hanno subìto gravi danni nelle loro attività professionali’. Parole forti che ci aiutano non solo a comprendere il sacrificio di molti, ma anche la certezza della vittoria sulla pandemia che ha le sue basi nell’amore.