di Gianfranco Ruggieri – Questa è la domanda che, come direbbe Catalano, sorge spontanea … A chi giova tentare ancora una volta di bloccare la ricostruzione dell’Aquila?
A chi giova gettare di nuovo migliaia di cittadini (senza città come direbbe il mio amico Totò) nel baratro della disperazione, prolungare indefinitamente quel tunnel del quale si iniziava a vedere la fine?
Mi riferisco più recente tentativo (maldestro) di mettere in ginocchio una città ed i suoi abitanti che conducendo una vita che definire surreale è un eufemismo cercano di rialzarsi da una tremenda condizione che viene nascosta al resto del paese.
La novità è nella volontà (di alcuni soggetti anche locali) di non voler riattivare la convenzione con la Cassa Depositi e Prestiti (CDP) che sino ad oggi ha consentito quel poco di positivo che è stato fatto.
Tale convenzione, innescata dal ministro Tremonti, è stata LA SOLA COSA CHE HA FUNZIONATO nel carrozzone burocratico messo su per il “modello L’Aquila” (ovvero come far finta di voler ricostruire una città ma di fatto affossarla peggio di come ha fatto il terremoto).
Come ha funzionato questo meccanismo sino ad oggi?
Io terremotato inoltravo la mia richiesta di indennizzo (perché non dimentichiamoci che di indennizzo si tratta e non di contributo) e per la forma di liquidazione sceglievo il cosiddetto “CONTRIBUTO AGEVOLATO” definito delle Ordinanze del Presidente del Consiglio dei Ministri (OPCM).
Finita la penitenza nei meandri della filiera il comune pubblicava il documento con la somma che mi veniva riconosciuta come indennizzo ovvero il (impropriamente definito) CONTRIBUTO DEFINITIVO.
Prendevo questo documento e lo portavo alla banca di mio gradimento la quale mi apriva un conto corrente dedicato, infruttifero (ovviamente), senza spese e bloccato (ovvero utilizzabile solo per la ricostruzione) e spediva la richiesta di finanziamento alla CDP la quale VERSAVA L’INTERA SOMMA NECESSARIA SUL CONTO CORRENTE DEDICATO con una tempistica complessiva di circa due – tre mesi. A questo punto i lavori che erano partiti TROVAVANO LIQUIDAZIONI IN TEMPO REALE SINO AL CONTROLLO DELL’ULTIMO STATO DI AVANZAMENTO LAVORI (SAL) da parte del comune.
La validità del sistema consiste nel fatto che esso consente l’utilizzazione delle somme sino all’ultimo centesimo per lo scopo cui è stato erogato tramite il controllo del Direttore dei Lavori che fa da garante alla contabilizzazione dei lavori EFFETTIVAMENTE eseguiti e del committente che ha tutto l’interesse a che i soldi siano ben utilizzati per la riparazione/ricostruzione senza sprechi: in sostanza un sistema che oggi piace definire virtuoso.
C’è stato nella convenzione appena esaurita un particolare che può essere migliorato, e cioè la somma è stata erogata per intero in anticipo (anche sino a 5 milioni di euro) per lavori che vedranno la conclusione dopo due anni, bloccando le somme in banca e quindi bloccando di fatto l’inizio dei lavori dei proprietari rimasti sinora esclusi dal contributo.
Nonostante ciò molti lavori sono stati avviati in periferia.
La proposta che si pone in prima istanza infatti consiste nel RIATTIVARE LA CONVENZIONE CON CDP ma con la variante che le somme vengono erogate con un primo anticipo del 40-50% per consentire l’avvio dei lavori e con pagamento delle stesse direttamente alla presentazione degli Stati di Avanzamento dei Lavori (S.A.L.), e con il versamento da parte di cassa depositi e prestiti della rimanente parte dopo l’avvenuto compimento di almeno il 50% dei lavori: questo avrebbe permesso di utilizzare le somme in maniera più razionale, consentendo l’avvio del doppio dei cantieri della ricostruzione nel medesimo arco temporale e garantendo tempi certi ed accettabili alla liquidazione degli operatori tecnici ed economici impegnati nella ricostruzione, evitando la stagnazione dei lavori ed il ritardo nella ricostruzione.
QUESTO E’ QUELLO CHE SI STA’ FACENDO IN EMILIA DOVE SONO STATI STANZIATE DUE TRANCHES DA CIRCA SEI MILIARDI OGNUNA (LA SECONDA POCHISSIMI GIORNI FA).
Il meccanismo della CDP è un meccanismo complesso ma che tutto sommato conviene oltre che al cittadino anche allo stato che con una copertura immediata di circo 80-100 milioni di euro è in gradi di attivare tramite le banche un movimento di circa 1 MILIARDO di euro: quindi se si desse corso alla legge di stabilità dalla quale erano saltati fuori circa 280 milioni per L’Aquila si vede come si potrebbe riattivare una convenzione per circa 2,8 miliardi di euro.
Invece QUI cosa accade?
CHE SI TENTA IL SUICIDIO ASSISTITO: ovvero non riattivare la convenzione con CDP e passare tutta la gestione della ricostruzione al cosiddetto CONTRIBUTO DIRETTO.
Come funziona il contributo diretto?
Il titolare dell’indennizzo inizia i lavori, al raggiungimento dei SAL viene presentata la contabilità in comune, il Comune accerta la regolarità di quanto presentato e della ditta, dispone la liquidazione, passa il tutto alla ragioneria che emette l’ordinativo di pagamento, eroga la somma necessaria sul conto indicato e quindi vengono pagate le fatture.
Molti diranno: “Bene! Cosa c’è di sbagliato nel controllare?”
Risposta: “Nulla se tutto funzionasse in tempi reali” il problema però è che per tutti i giri amministrativi anzi descritti il comune impiega poco meno di un anno (se si è fortunati).
Ad oggi ci sono ancora un mare di lavori della ricostruzione leggera (case B) a contributo diretto NON LIQUIDATI: immaginiamo cosa possa accadere con tutte le contabilità E assai più complesse delle B oltre che più numerose.
La cosa più grave del passaggio al contributo diretto sono le risorse annue disponibili: se infatti si esce dal meccanismo della CDP la copertura al contributo diretto si trova nella sola legge 77/2009 che dà una disponibilità annua limitata ad alcuni centinaia di milioni di euro. Per questi primi anni infatti la copertura annua si aggira intorno a 500 milioni di euro che usciranno TUTTI dalle casse dello stato verso il Comune.
Tali somme sono largamente insufficienti per coprire la ricostruzione delle sole periferie (per non parlare dei centri storici), il che significa che in tale modo molti dovranno attendere il 2014, o il 2015, o il 2016, solo per poter avviare i lavori in certezza di copertura economica. Ricordo che in media un anno e mezzo – due anni sono il tempo sufficiente per riparare – ricostruire un edificio danneggiato dal sisma.
Tutto ciò comporterà lo stabilire delle priorità, ad oggi non note, con cui concedere il contributo diretto, ed effettuare delle discriminazioni, anche pesanti, nonché incostituzionali, fra i cittadini colpiti dal sisma. Occorrerà dire alla gente che, dopo le vessazioni subite dalla filiera di controllo Reluis – CINEAS (perché di vere e proprie vessazioni si è trattato, in molti casi), dopo avere in media passato un anno ad attendere l’esame del progetto presentato e la relativa approvazione da parte di Reluiss e CINEAs, cui lo Stato ha impropriamente demandato compiti propri, nonostante i tempi certi fissati dalle ordinanze in 60 giorni, dopo l’avere atteso i tempi del genio civile, che, per il semplice rilascio del visto di avvenuto deposito, impiega 6 – 7 mesi contro i 15 giorni imposti dalla normativa vigente, dovranno attendere, ad iter burocratico finalmente terminato, ancora anni magari vedendosi passare davanti i soliti “raccomandati”, prassi tipicamente italiana nonché aquilana, nell’assoluta mancanza di trasparenza e di reale partecipazione civile che ha finora caratterizzato la ricostruzione (mancata) dell’Aquila, in circa quattro anni dal terremoto.
Eppure sarebbe bastato copiare il piano di ricostruzione di Christchurch, per esempio, frutto di menti molto più illuminate, e meno burocratizzate delle nostre.
E allora la domanda iniziale: CUI PRODEST tutto ciò?
Perché non seguire la strada della CDP che con uno sforzo annuo di circa 200 milioni permette una liquidità immediata di circa 3 miliardi invece che la strada INUTILMENTE DISPENDIOSA del contributo diretto che vede uscite annuali per lo stato decisamente maggiori ma con una liquidità immediata infinitamente inferiore: IN QUESTO SECONDO MODO DAVVERO PER LA RICOSTRUZIONE DELL’AQUILA NON BASTERANNO 30 ANNI.
Le risposte per me che sono un malpensante sono due e sono banali.
La prima a breve termine è alimentare la corruzione … a tutti i livelli …
Pensate quante piccole o grandi tangenti le ditte saranno disposte a dispensare per accorciare i tempi della liquidazione: basti pensare a quanti saranno i proprietari che, dopo anni ed anni di vessazioni da parte di tutto il sistema di controllo, quasi nessuno escluso, pur di non passare altri dieci anni nel progetto B.A.R.A.C.C.H.E. costato quanto un progetto C.A.S.T.E.L.L.I. o quanto un A.U.D.I.T.O.R.I.U.M. all’ultima moda, decideranno di versare nelle casse di questo o di quel partito politico il solito obolo in nero frutto della sana corruzione italiana, pur di vedere ribadito un proprio diritto.
La seconda risposta invece è a lungo termine e parte da una “sottodomanda”: quante saranno le imprese che si sono esposte con un certo numero di cantieri sapendo di avere le risorse umane necessarie a garantirli e contando sulla certezza ed immediatezza delle risorse economiche e che invece saranno ora in grado di reggere i tempi di attesa (ENORMI) delle liquidazioni dei lavori?
Pochissime, non certo le piccole e medie imprese soprattutto locali: e questo mi fa tornare in mente un certo disegno … una certa spartizione della città in mega ambiti … a certe titaniche imprese di livello nazionale (e ben oltre): LOTTIZZAZIONE … chissà perché mi viene in mente questo termine … TANGENTI … e quest’altro coma mai mi frulla nella mente?
Mhà? Sarà colpa del terremoto che mi ha messo in collisione i soli tre neuroni che posseggo?
Bho? … per ora la domanda che mi frolla in testa è una sola: CUI PRODEST? …
Alla Governance l’ardua risposta …