Contagio Covid equiparato a infortunio, il legale: serve scudo penale per imprese
di Marco Signori | 07 Maggio 2020 @ 08:11 | ATTUALITA'
L’AQUILA – “Serve una norma che renda esplicito come il datore di lavoro sia escluso da responsabilità laddove abbia diligentemente posto in essere tutte le misure necessarie dettate dai protocolli di sicurezza”.
Lo afferma l’avvocato Fabrizio Ajraldi a proposito di quanto ha stabilito il decreto Cura Italia, che al secondo comma dell’articolo 42 ha previsto come “nei casi accertati di infezione da coronavirus, in occasione di lavoro, il medico certificatore redige il consueto certificato da infortunio e lo invia telematicamente all’Inail”.
Ciò significa che il contagio del Covid-19 è da considerarsi infortunio sul luogo di lavoro e non malattia. Un’equiparazione che ha fatto insorgere le imprese, a partire da quelle edili che insieme alle manifatturiere sono state le prime a cui è stata data la possibilità di ripartire da lunedì scorso, ma anche i responsabili della sicurezza sui luoghi di lavoro.
“Nella stessa direzione va la circolare Inail numero 13 del 3 aprile” spiega il legale, “che nell’ambito della tutela chiarisce che in base alle istruzioni per la trattazione dei casi di malattie infettive e parassitarie la ‘tutela assicurativa’ del lavoratore si estende infatti anche alle ipotesi in cui l’identificazione delle precise cause delle modalità lavorative del contagio si presenti problematica”.
“Questo”, chiarisce Ajraldi, “sta a significare che laddove venga accertato sul luogo di lavoro la positività da Covid-19, indipendentemente dal fatto che il contagio sia avvenuto o meno sul luogo di lavoro, il datore di lavoro potrebbe essere chiamato a rispondere di lesioni colpose gravi ai sensi dell’articolo 590 del Codice penale o, ancor peggio, nel caso di decesso del lavoratore, di omicidio colposo ai sensi del secondo comma dell’articolo 589 e l’impresa potrebbe essere esposta anche a una responsabilità amministrativa”.
“Nell’attuale situazione di pandemia conclamata dall’Organizzazione mondiale della sanità e dal Governo, a valere su tutto il territorio nazionale a causa di un virus che ha un periodo di incubazione pari a 15 giorni, il contagio di un lavoratore rende impossibile”, fa osservare il legale, “un’affidabile attività di accertamento medico-legale epidemiologico e clinico circostanziale, come necessario per l’infortunio sul lavoro”.
“La responsabilità degli eventuali contagi di lavoratori non può essere fatta ricadere in modo oggettivo su quel datore di lavoro che, diligentemente, abbia dotato le maestranze dei dispositivi di protezione individuale previsti dalla normativa nazionale, abbia vigilato sulle distanze interpersonali sui luoghi di lavoro e mantenuto i luoghi di lavoro igienicamente puliti e sanificati”.
È per questo che secondo Ajraldi, che ha fornito consulenze alle imprese edili, servirebbe “una norma che renda esplicita l’esimente del datore di lavoro laddove abbia diligentemente posto in essere tutte le misure necessarie dettate dai protocolli di sicurezza”.
“Una sorta di scudo penale – chiarisce l’avvocato – per rafforzare le garanzie per l’imprenditore nel corso di una situazione emergenziale unica nel suo genere che vada oltre la previsione, non abbastanza soddisfacente, della circolare Inail che prevede che la prova sul contagio non è a presunzione diretta e che quindi non è l’imprenditore a doversi discolpare, come accade”.