Cinghiali, arrivano i dati dell’Ispra: si preleva di più ma molto male

di Alessio Ludovici | 14 Gennaio 2023 @ 07:53 | AMBIENTE
cinghiali
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L’AQUILA – Con grande fatica, perché i dati a disposizione sono frammentati e pieni di buchi, l’Ispra sta finendo un ciclopico lavoro di monitoraggio della popolazione di cinghiali in Italia negli ultimi 7 anni e ieri lo ha presentato in anteprima nel convegno “Fauna selvatica e territori: conoscere per gestire”, organizzato da Confagricoltura.

Gli ultimi dati disponibili, e assolutamente approssimativi, risalivo all’ultima indagine pubblicata sugli ungulati dell’Ispra stessa nel 2010, o addirittura a un’indagine di Inps e Ministero per l’agricoltura del 2004. Oggi non ci sono grandi passi in avanti sui dati, ma un po’ aiutato la peste suina africana che è stata l’occasione per obbligare le regioni  a fotografe la situazione nei rispettivi Priu, piani regionali di interventi urgenti per il depoplamento del cinghiale. Dall’esperienza dei 21 piani di gestione e da altre 700 diversi fonti istituzionali, banche dati e archivi sta nascendo la nuova indagine dell’Ispra che sarà pronta in un rapporto nel corso del 2023.

A presentare i dati i ricercatori Ispra, che riportiamo in seguito, ma a fare qualche considerazione a riguardo è stato Pietro Genovesi, responsabile di Ispra per il contenimento della fauna selvatica. Con il rigore dello scienziato, anche a costo di far storcere il naso a qualcuno, Genovesi ha fatto un appello a un salto di qualità nella gestione: “La gestione del cinghiale è la principale questione della fauna in Italia, la popolazione è fortemente cresciuta nei decenni, l’agricoltura è il comparto più colpito ma, come noto, gli impatti ci sono anche per gli incidenti stradali e per la presenza negli ambiti urbani che desta parecchie preoccupazione.”

“Come ente pubblico – ha spiegato Genovesi – il nostro ruolo è dare risposte, cerchiamo di farlo fornendo indicazioni tecniche sempre più aggiornate. I nostri pareri sono obbligatori ma non vincolanti, sono tesi ad aumentare l’efficacia delle gestione non a mettere paletti. L’agricoltura è comparto in difficoltà per tanti motivi e anche per il l’impatto del cinghiale ma, questo l’accorato appello di Genovesi – “l’aumento degli abbattimenti ma va pianificato. Avere dati migliori non è una fantasia da ricercatori, ma una necessità per mitigare gli impatti del cinghiale.”

“Il quadro che emerge è di un aumento ma ci sono amplissimi margini di miglioramento se ci dotiamo un obiettivo comune per contenere i danni e garantire un attività venatoria sostenibile. Ad oggi i dati registrano una strategia tesa solo a massimizzare i prelievi, abbattimenti che sembrano quasi fatti apposta per un aumentare la popolazione di cinghiali.  Serve un salto di qualità. Negli anni alcuni consigli dell’Ispra sono stati sentiti, dal divieto di introduzione del cinghiale ai divieti di foraggiarli, ma l’Ispra, dati scientifici alla mano, ha dato anche indicazioni di favorire una caccia selettiva che, come si vede dai dati, è scarsamente praticata. La braccata rappresenta ancora il 90% dei prelievi con il risultato eloquente che la maggiorate dei cinghiali abbattuti è maschio e anziano, anziché femmina e giovane.

“In più occasioni abbiamo chiesto modifiche normative per aumentare la platea e le tecniche di prelievo in controllo ma le regioni tendono a dare spazio ai cacciatori locali, potrebbe essere una vittoria del mondo venatorio ma non di quello agricolo. Abbiamo bisogno invece di operatori formati e competenti”.

I primi dati di Ispra

E’ Andrea Monaco, ricercatore Ispra a fare il punto della situazione. Membro dell’Invasive Species Specialist Group dell’IUCN e tra i fondatori del Group for Large Mammals Management con una lunga esperienza nel campo che viene definito, delle invasioni biologiche, Monaco intanto fa il punto sui dati. E il quadro è tutto fuorché positivo. “Abbiamo dovuto fare un enorme sforzo di armonizzazione e valutazione critica dei dati sui prelievi, a volte lo stesso ente trasmette dati diversi, in generale sono dati incoerenti o sono proprio mancanti o a macchia di leopardo. Come si può fare una gestione efficace senza dati?”. Ancora peggio i dati su danni all’agricoltura e sugli incidenti stradali. L’Ispra ha cercato comunque di restituire una stima attendibile della situazione. 

La popolazione del cinghiale ammonterebbe in una stima al ribasso a circa un milione di esemplari, con uno scenario probabile di circa 1,5 milioni di esemplari. Ogni anno ne vengono prelevati circa 300 mila, ma il dato è una media ed è in aumento, di di cui 257.000 in caccia ordinaria e appena 42.000 in interventi di controllo faunistico. Tutti i dati, in questo senso, fanno percepire un aumento della popolazione e quindi confermano le valutazioni già note nell’opinione pubblica. 

Di questi 300mila l’86% è abbattuto con la caccia, il resto in prelievo controllato che è operativo in particolare nelle aree protette. L’esplosione demografica è iniziata negli anni ’90.

Per quanto riguarda le tecniche di prelievo ben l’88% avviene ancora in braccata, solo il 9% in selezione, il 2% in girata, e l’1% in caccia singola. Queste ultime tre modalità di caccia permetterebbero, l’opinione di Ispra, un prelievo molto più selettivo di quello attuale. 

Infatti del totale dei capi abbattuti di cacciatori, segnala Monaco, ben il 51% è maschio mentre le femmine sono il 49%, un dato che non aiuta le politiche di contenimento. Solo il 40% dei capi prelevati è giovane, il contrario delle indicazione dell’Ispra che chiedeva un rapporto di 60% sono giovani e 40% adulti.

Per quanto riguarda i danni i conti sono ancora più difficili. In media il paese si aggirerebbe intorno a una media annuale di 17milioni, una cifra sicuramente sottostimata spiega Monaco ma comunque lontana da certe ricostruzioni giornalistiche: “Questo dato è sottostimato ma non così tanto da giustificare le cifre che girano che parlano di dati 15volte superiori”. Capofila dei risarcimenti, ma non dei prelievi, è l’Abruzzo, 18 milioni in 5 anni, l’Abruzzo paga di più non solo per i parchi ma i risarcimenti sono più alti anche fuori.

Impossibile, ha spiegato Monaco, fare una stima degli incidenti su base nazionali perché i dati sono disseminati in una miriade di soggetti diversi che non comunicano a nessuna banca dati centrale.

“Il quadro di sintesi – sottolinea l’Ispra in una nota a margine del convegno – descrive un generalizzato aumento degli indicatori (prelievi in caccia, prelievi in controllo danni) attualmente disponibili per monitorare l’andamento della gestione della specie. Questo costante aumento del fenomeno su scala nazionale richiede l’adozione urgente di una strategia di intervento nazionale disegnata sulla base delle più aggiornate conoscenze scientifiche, che integri interventi di prevenzione dei danni e di contenimento delle popolazioni, e che assicuri prelievi selettivi e pianificati coerentemente con l’obiettivo prioritario di riduzione dei danni.

Elemento chiave di una strategia di gestione del cinghiale è la creazione di un sistema omogeneo di raccolta dei dati a scala nazionale, che integri anche le informazioni relative agli interventi di prevenzione e agli incidenti stradali, e renda possibile monitorare l’andamento della gestione in tempo reale.”


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