di Walter Cavalieri *, Il Centro.it – All’indomani del terribile sisma, ci eravamo lasciati cullare dall’illusione che avremmo saputo trasformare la tragedia in opportunità. Oggi, dopo oltre tre anni, questo auspicio non sembra avverarsi. Quello che veramente impedisce la palingenesi dell’Aquila è la mancanza assoluta di una idea di città, di un disegno demiurgico, di una logica complessiva che dovrebbe ispirare la riprogettazione dell’intero territorio, a livello urbanistico e architettonico. Limitandoci al solo centro storico, abbiamo ad esempio i due casi concettualmente contrastanti della ex-scuola De Amicis e dell’auditorium di Renzo Piano. Nel primo caso si è imboccata la strada del “dov’era-com’era”, appellandosi ai valori identitari dell’edificio e rinunciando ad altre soluzioni architettoniche più radicali e meno costose che avrebbero riqualificato l’intera area di San Bernardino. Nel secondo caso, invece, non si è esitato a stravolgere massicciamente un’area di valenza altrettanto identitaria come il parco del Castello, collocandovi un ingombrante e costoso edificio di stile contemporaneo. Quale la logica dominante, allora, dal momento che le due scelte sembrano guidate da una confusa schizofrenia progettuale? Il timore è che si vada riconfermando la vecchia teoria del pieno e del vuoto, secondo la quale il pieno (cioè il già costruito) va comunque conservato e consolidato senza neanche tentare coraggiose soluzioni innovative, mentre il vuoto (cioè gli spazi pubblici) sono percepiti unicamente quali serbatoi di suolo su cui costruire liberamente ex novo. In questo scenario contraddittorio, l’unico elemento di coerenza sembra essere quello di ignorare metodicamente il parere dei cittadini, spacciando peraltro per “provvisorie” delle opere di fatto inamovibili.
* storico