Guido Bertolaso, nel dicembre 2010, aveva chiesto un risarcimento di 120 mila euro – a Marco Travaglio, al direttore Antonio Padellaro e all’Editoriale Il Fatto Spa – perché l’articolo intitolato Bertolao Meravigliao era “gravemente offensivo”.
Il 1 º febbraio il Tribunale di Roma, con la sentenza firmata da Eugenia Serrao, lo condanna a risarcire Travaglio, Padellaro e il Fatto «per 6 mila euro in favore di tutti i convenuti» e al «pagamento delle spese processuali per 5 mi-la euro». In gergo si chiama “lite temeraria”: Bertolaso, in sintesi, non poteva ignorare di avere torto. Eppure ha intentato una causa – con tutto l’impiego di tempo e il denaro pubblico conseguente – che doveva sapere di perdere.
L’articolo firmato da Travaglio riguarda l’inchiesta sugli appalti del G 8 e la cricca – a partire dal provveditore per i lavori pubblici Angelo Balducci e dall’imprenditore Diego Anemone – che li pilotava. In quei giorni la cronaca giudiziaria raccontava degli incontri che Bertolaso intratteneva, nel centro Sport Salaria Village, con una massaggiatrice procurata, secondo l’accusa, dagli uomini della cricca. Bertolaso è attualmente sotto processo a Roma e nel 2010 cita in giudizio Travaglio, Padellaro e Il Fatto – difesi dall’avvocato Katia Malavenda – per diffamazione: l’articolo in questione, secondo l’ex capo della Protezione civile, era «idoneo a prospettare al lettore il convincimento che fosse un soggetto assolutamente immorale. Si afferma falsamente che abbia frequentato donne dedite al meretricio e avrebbe ottenuto vantaggi indebiti; si afferma che le suddette circostanze risulterebbero da intercettazioni telefoniche; tutto sarebbe stato organizzato da imprenditori con finalità in evidente contrapposizione con i principi di trasparenza e di imparzialità della pubblica amministrazione». Insomma: l’articolo afferma il falso.
In realtà, a giudicare dalla sentenza, è Bertolaso che dovrebbe prestare più attenzione a ciò che scrive: «La conoscenza del contenuto delle intercettazioni, menzionate nell’ordinanza di custodia cautelare, evidenzia la temerarietà della lite proposta in questa sede». Travaglio non ha diffamato, né scritto il falso, e la sentenza commenta alcuni passaggi del brano incriminato: «La locuzione ‘ Emergenza bikini ‘ allude in termini privi di volgarità al contenuto di una intercettazione in cui Simone Rossetti si assicurava che la donna da mettere a disposizione di Guido Bertolaso indossasse determinata biancheria. L’espressione ‘ Squadra della prostituzione civile spa ‘ rappresenta un gioco di parole per ironizzare sulle prestazioni di tipo sessuale nelle quali, secondo l’accusa, si erano sostanziati i vantaggi offerti al Capo della Protezione civile. La storpiatura del nome in ‘ Bertolao Meravigliao’ allude chiaramente al fatto che l’incarico di scegliere le ragazze fosse stato dato da tale Regina De Fatima Profeta, che in passato aveva partecipato a una trasmissione televisiva in cui si ballava e cantava una canzone dal titolo Cacao Meravigliao».
Fonte: Il Fatto Quotidiano