di Antonio Simeoli – Tocca il terremoto ai friulani, e soprattutto l’epopea della ricostruzione, e son dolori. Se ne accorgerà l’ex numero uno della Protezione civile nazionale, Guido Bertolaso.
Tocca il terremoto ai friulani, e soprattutto l’epopea della ricostruzione, e son dolori. Se ne accorgerà l’ex numero uno della Protezione civile nazionale, Guido Bertolaso, perchè qualcuno presto lo avvertirà che ai friulani, quelli che lui ha sempre indicato come simboli per la rinascita post-sisma e da cui è sempre stato accolto con grande trasporto, sono letteralmente andate di traverso le parole scritte ieri al settimanale diocesano dell’Aquila in vista del terzo anniversario del terremoto d’Abruzzo.
Correrà domani quell’anniversario: paesi distrutti, 400 morti tra l’Aquila e i paesi attorno. Gli stessi morti che ebbe la sola città di Gemona nel 1976. Ebbene, Bertolaso nel difendere la decisione del Governo (Berlusconi) e della Protezione civile di avviare subito la costruzione di abitazioni “definitive” sebbene prefabbricate, ha tirato in ballo il Friuli. E non l’ha citato come esempio di efficienza da imitare, come peraltro ha sempre fatto nell’affrontare tutte le emergenze degli ultimi 15 anni. «Se il tema della ricostruziine dell’Aquila è ancora all’ordine del giorno – ha scritto l’ex sottosegretario – lo si deve anche al fatto che la città è stata messa in grado di accogliere quasi tutti i suoi abitanti, impedendo uno degli effetti più normali di un sisma, il flusso di emigrati che abbandona le aree terremotate svuotando le città colpite. Si fa sempre l’esempio del Friuli, dimenticando che oggi nelle varie Americhe vivono più friulani di quanti ce ne sono in Italia, proprio a causa del “loro” terremoto”».
Caro dottor Bertolaso, nella sua lettera al settimanale diocesano “Vola” ha scritto una cosa non vera. Magari è stato male informato (strano, perchè in Frili ha un sacco di amici, tanto da aver pure comprato una vigna per produrre il Ramandolo), magari la penna è…scivolata, ma quello che ha scritto è una sciocchezza.
Perchè quando ai friulani si toccano il dramma del terremoto e l’epopea della ricostruzione son dolori. Di emigranti post-terremoto, infatti, la storia insegna che il Friuli non ne abbia conosciuti. Anzi accadde esattamente il contrario. «Molti – ricorda l’ex sindaco di Gemona, Ivano Benvenuti – anzi tronarono dai tradizionali luoghi di emigrazione friulana, il Sud America, gli Stati Uniti, il Canada, la Francia o il Belgio, per star vicino ai familiari, aiutarli nella ricostruzione dei loro paesi, anche favoriti da una legislazioni che ne favoriva il ritorno in patria. Guai a dire ai friulani che, dopo le scosse, molti di loro non si rimboccarono le maniche e scelsero la via dell’emigrazione. Guai. Perchè quando si decise, dopo le scosse di settembre, di trasferire gli abitanti del “cratere” negli alberghi delle località balneari in attesa della sistemazione dei prefabbricati (che fu completata nella primavera del 1977), molti si “legarono” alle macerie delle loro case. Gli uomini fecero avanti e indietro in pulmann da Lignano, Grado, Bibione per tornare di giorno a ricostruire le loro fabbriche e poi lavorarci. Altro che emigrazione. Il 95% della gente l’estate successiva alle scosse era già nei prefabbricati. Che, 35 anni fa, non erano certo confortevoli con le case di Berlusconi all’Aquila. Caro Bertolaso, la povertà nelle campagne, due conflitti mondiali, la marginalità della regione in un’Europa divisa dalla Guerra fredda, causarono l’emigrazione dei friulani nel Novecento. Altro che terremoto. Quello anzi, paradossalmente, le scosse furono il cemento per i friulani. Un popolo che ebbe tanti lutti, ma poi si rimboccò le mani, ricostruì le fabbriche, le case, le chiese; ricevette tanta solidarietà (anche dagli emigrati in tutto il mondo) e imparò presto a ricambiarla arrivando con i suoi volontari in tutte le emergenze. Dal sisma dell’Irpinia fino alle rovine dell’Aquila. Ma questo caro Bertolaso Lei lo sa bene.