di Federico Santoro (architetto) – Per non morire di silenzio – come da troppo tempo succede in questa città – volevo esprimere la mia personale contrarietà alla tesi manifestata dal Presidente dell’Ordine degli Ingegneri in una recente intervista al TG3 in merito all’opportunità di impiegare i 400 mil di euro per la ricostruzione della Periferia distogliendoli da quella del Centro Storico.
Il compianto Prof. Vittorini, già all’alba del sette aprile 2009, non credeva al progetto di ricostruzione avanzato dal D.P.C., focalizzato esclusivamente a soddisfare la doverosa, ma semplicistica esigenza di ridare un’abitazione agli sfollati.
“Dove risiede la maggior parte degli aquilani? In periferia, diamine! Allora è da lì che cominceremo! Ed il Centro Storico? Verrà blindato perché è troppo pericoloso, problematico, scarsamente abitato e vincolato”.
E avanti così… O.P.C.M. 3778, 3779, 3790, Progetto c.a.s.e.!
Di contro, il Prof. Vittorini si augurava una discussione partecipata e competente volta ad una programmazione che individuasse il “punto” verso cui concentrare gli sforzi per far risorgere la città. Da buon Architetto ed Urbanista il Prof., insieme a pochi altri illuminati, aveva capito che la rinascita di una comunità deve necessariamente iniziare dal punto di accumulazione della sua identità, cioè dal Centro Storico.
Senza di esso generazioni di vecchi aquilani sarebbero morte di solitudine relegate nei quartieri periferici o peggio ancora nei vari progetti c.a.s.e., mentre i più giovani sarebbero cresciuti negli asettici centri commerciali, luoghi di incontro e di socializzazione artificiale.
Oggi è questa la nostra realtà e un tale destino è l’unica e “chimica” conseguenza di politiche non governate e/o non efficacemente programmate.
Credo anche che quella che può apparire come una ricostruzione “a macchia di leopardo” sia in realtà il frutto acerbo di una troppo giovane strategia di intervento applicata al Centro Storico, che non è ancora sufficiente a sostenere l’utilizzo delle risorse disponibili per nuove aree a breve rinascita.
Andrebbero quindi individuate nuove aree, non alternative rispetto a quelle dell’Asse Centrale, ma ad integrazione dello stesso, favorendo così lo sviluppo cantieristico attorno a quelle di cui il “leopardo” è più ricco di macchie.
Sono convinto, inoltre, che il diritto all’abitare nuovamente ed il dolore dell’attesa di rientrare siano equamente distribuiti all’interno della comunità terremotata.
Nessuno, neanche nel nome di un verificato (?) completamento della ricostruzione della periferia dovrebbe augurarsi (o suggerire) di distogliere le scarse risorse a disposizione per il finanziamento dei “progetti pronti” per il Centro Storico.
Nessuno dovrebbe augurare a L’Aquila la fine di Nocera (terremoto Marche-Umbria) dove di fronte ad un anello urbano ricostruito in fretta e velocemente consolidato fa da contraltare un centro storico ormai anch’esso ricostruito, ma assolutamente svuotato dei suoi abitanti e delle sue attività commerciali.
Questo preconizzava il Prof. ed altri illustri come lui che riuscirono a leggere in anticipo i bisogni di una comunità provata, come era la nostra nel 2009.
Oggi, dopo quasi cinque anni, quei bisogni sono ancora più visibili.
Si percepiscono nella mancanza di luoghi di confronto che porta ad inutili e dannose divisioni di una cittadinanza che dovrebbe urlare con voce univoca i propri diritti.
Si percepiscono nella formazione di opinioni viziate dall’isolamento e prese a prestito dai media.
Si palesano nella perdita di senso critico che impoverisce il giudizio anche di chi occupa posizioni di rappresentanza.
Nuovi Presidenti (di fresca nomina) degli Ordini Professionali degli Architetti e degli Ingegneri…
MEDITATE.