Dopo il diniego alla costruzione della moschea su suolo pubblico, un’altra religione, il Buddismo, sembra farsi largo all’Aquila per le vie non convenzionali.
“Se il suolo aquilano è interdetto all’integrazione religiosa, il cielo è aperto a tutti” avrà pensato così il benefattore dell’opera. Ecco che su un terrazzo della periferia sorge, nella giusta riservatezza tributata al luogo di culto, il primo piano di una Pagoda.
Essenziale nella forma e dimensionata per decine di praticanti, la vocazione dell’opera, tra umano e celeste, sembrerebbe evidente, come lo è l’impavido spirito d’iniziativa di chi persegue l’obiettivo fideistico senza timore dell’autorità costituita … che in questo caso dovrebbe essere la polizia dei giardini pensili di Babilonia.
La meditazione (col naso all’insù verso il terrazzo) è indotta dall’opera.