Alcune tradizioni del Carnevale nella provincia dell’Aquila
di Fausto D'Addario | 19 Febbraio 2023 @ 05:23 | I LUOGHI DELLO SPIRITO
Alcune tradizioni del Carnevale nella provincia dell’Aquila. Il carnevale è quel periodo che tradizionalmente va dall’Epifania al Mercoledì delle ceneri e che cade nel mezzo dei due tempi forti del quadro liturgico della Chiesa, ossia tra Avvento-Natale e Quaresima-Pasqua; in Abruzzo era il giorno di Sant’Antonio, il 17 gennaio, a inaugurare questa stagione, tanto che la maschera tipica dell’Abruzzo è Frappiglia, (da “fra” e “piglia”), un contadino che regge il bastone di Sant’Antonio Abate. Ora però i festeggiamenti si concentrano nei giorni che vanno dal Giovedì Grasso al martedì precedente alle Ceneri.
È un tempo di festa e di baldoria collettiva – a carnevale ogni scherzo vale! – che precede i quaranta giorni di penitenza della Quaresima, nei quali si dà l’addio alla carne: Carnevale viene infatti da carnem levare (togliere la carne) o carni, vale! (addio, carne!).
Da una parte le abbuffate e i valori pagani della vita, dall’altra la penitenza e i valori cristiani: pagani, perché nelle tradizioni del Carnevale abruzzese sopravvivono – mascherate, è il caso di dirlo – diversi riti di origine remota.
Il calendario degli antichi romani era fatto di dieci mesi e, mentre per noi il mese di febbraio è il secondo dell’anno nuovo, per gli antichi era l’ultimo mese dell’anno precedente. Questo stare sulla soglia dei tempi lo rendeva un periodo di purificazione e di propiziazione e al centro di diverse celebrazioni. Per citare le più significative:
– a Dicembre si tenevano i Saturnalia, quello che più somigli al nostro Carnevale, con il temporaneo rovesciamento di ogni gerarchia, banchetti e conviti a celebrare l’abbondanza dei doni della terra;
– i Lupercalia a metà febbraio, in onore del dio Fauno Luperco per promuovere la protezione del bestiame e la fecondità delle donne;
– i Parentalia, dal 13 al 21 febbraio, giorni durante i quali si pensava che i morti tornassero a far visita ai vivi;
– i Terminalia, il 23 febbraio, ultimo giorno dell’anno romano, dedicati al Dio Termine per la purificazione dei confini e dei campi;
E poco più avanti, i Liberalia a Marzo erano dedicati al dio Libero (o Bacco), che si concludevano con una falloforia propiziatoria, condannata vigorosamente già da Sant’Agostino (hoc turpe membrum!) nella Città di Dio (VII,21).
È questa l’atmosfera che fornisce il retroterra del Carnevale, che prosegue e preserva nei tempi medievali e moderni, fino ad oggi, cerimonie e festeggiamenti pagani tra la fine dell’anno vecchio e l’inizio del nuovo. Ecco i travestimenti e l’uso delle maschere, le sfilate e i cortei di carri, le rappresentazioni drammatiche, rovesciate ed esagerate della realtà. Certo, oggi è rimasto solo l’aspetto ludico di questi riti, svuotati da lungo tempo del significato originario, ma nonostante questo si assiste a degli importanti e suggestivi revival.
A Scanno era il giorno di Sant’Antonio ad aprire il carnevale, annunciato da un araldo su un asinello e dove una delle figure più caratteristiche era quella dell’episcopellus, letteralmente un piccolo vescovo, cioè un bambino che per un giorno veniva vestito da vescovo.
Un’altra figura tipica era quella del re o signore del Carnevale, che discende dal re dei Saturnalia romani, che nel giorno del suo “regno” poteva permettersi ogni genere di eccessi e sfrenatezze. Narra Giovanni Pansa che questa “storta consuetudine” era particolarmente viva a Tagliacozzo, tanto da imporre taglie e contribuzione ai cittadini e venne fermata solo con l’intervento dalla magistratura del Regno di Napoli.
Dopo le feste, il rito espiatorio: veniva inscenato il funerale di questo re o un fantoccio sostitutivo, con tanto di condanna a morte, lettura del testamento e rito officiato da un finto prete. Sempre il Pansa riporta che in località come Pettorano sul Gizio o San Valentino era diffusa questa filastrocca:
Carnevale, perché sci morte?
Pane e vine nen te mancava;
La ‘nsalata steva all’orte
Carnevale, perché sci morte?
Strofe simili con delle varianti erano attestate anche a Sulmona, Pratola, Introdacqua e Bugnara.E proprio a Pettorano sul Gizio – tra i borghi più belli d’Italia – è stata riportata in auge questa tradizione singolare: Piazza Zannelli diventa lo scenario del testamento e della morte del re, martedì grasso o la domenica di Carnevale. Il re del Carnevale, che guida i festeggiamenti e i banchetti della giornata, legge un ironico testamento in rima, tra applausi e grida: un momento gustoso fatto di satira e fustigazioni del malcostume contro le autorità costituite.
Molto sentito è a Luco dei Marsi il Carnevale Marsicano, con la tradizionale sfilata dei carri allegorici, con riferimenti all’attualità o di pura fantasia, al quale prendono parte anche le comunità vicine. Il corteo dei carri e delle maschere sfila allegramente lungo le vie del paese, per arrivare infine sotto il palco della giuria, che premierà il carro vincitore.