Introiti pari all’1,7% del Pil nazionale, infiltrazioni nei settori immobiliare, estrattivo e alberghiero, presenza ormai capillare anche al nord. La criminalità organizzata allunga i tentacoli e, provincia dopo provincia, «compra» pezzi dell'Italia reale. Dal rapporto ‘Gli investimenti delle mafie’, realizzato dal centro di ricerca Transcrime dell’Universita’ Cattolica del Sacro Cuore di Milano per il Ministero dell’Interno, l’Abruzzo, con un indice pari a 0,74, si posiziona al 13esimo posto della classifica nazionale per presenza mafiosa. Sul podio vi sono Campania, Calabria e Sicilia. Le attivita’ illegali, in Abruzzo, registrano ricavi medi pari a 524 milioni di euro: spiccano lo sfruttamento sessuale, che va da un minimo di 47 ad un massimo di 212 milioni di euro, e le droghe (minimo 93 milioni, massimo 195 milioni). In particolare, i ricavi illegali della Camorra vanno da un minimo di 82 ad un massimo di 130 milioni di euro. Il volume d’affari del gioco d’azzardo si attesta tra i due e i tre milioni di euro. Rilevante anche il fenomeno dell’usura, con 9.790 famiglie coinvolte nel 2010 e ricavi annui pari a 72 milioni di euro.
L’Abruzzo, rileva l’indagine, e’ una di quelle regioni, al di fuori dei territori a tradizionale presenza mafiosa, in cui si registra la rilevante presenza di un solo tipo di organizzazione, ovvero la Camorra, pari all’80,6% del totale. Seguono Cosa Nostra (8,9%), Ndrangheta (6,1%) e Sacra Corona Unita 4,5%. Analizzando le mappe presenti nel rapporto si evince che in Abruzzo vi sono alcune delle poche ‘isole felici’ presenti in Italia, ovvero alcune aree delle province di Pescara e Chieti in cui la presenza delle mafie e’ nulla.
Il rischio di presenza delle mafie in Abruzzo, generalmente basso nelle diverse aree della regione – si evince ancora dal rapporto -, diventa medio in alcune aree dell’aquilano e del teramano. Il rischio di infiltrazioni mafiose nell’economia ed in particolare nel settore delle costruzioni e’ medio-alto in tutta la regione.
Cinque gli aspetti principali su cui si basa il rapporto. Il primo è l'individuazione territoriale delle mafie. La presenza mafiosa è stata studiata a vari livelli, da quello regionale a quello comunale, intrecciando cinque indicatori ricavati dalle attività giudiziarie. Quanto ricavano le mafie dalle loro attività illegali in Italia è invece la seconda domanda che ha guidato la ricerca: la media dei guadagni mafiosi si attesta su un 25,7 miliardi di euro l'anno, pari all'1,7 % del Pil nazionale. Il traffico di droga genera i maggiori introiti (7,7 miliardi di euro) seguito da estorsioni, sfruttamento sessuale e contraffazione (media 4,6 miliardi per attività). ‘Ndrangheta e Camorra sono le organizzazioni più ricche assicurandosi circa il 70 percento dei ricavi di tutte le mafie italiane. La mafia calabrese, inoltre, è l'unica che si assicura i maggiori proventi operando in altre regioni, in particolare al Nord.
Il terzo punto del rapporto scopre come e dove le mafie investono. Interessante capire come mai le mafie decidano di investire nelle aziende. La redditività non è al primo posto. Spesso sono più determinanti la necessità di riciclare denaro, il controllo del territorio e la creazione di consenso sociale. Il fatto che la mafia non guardi alla redditività è svelato dai dati di bilancio delle aziende «infiltrate». La gestione è inefficiente e i profitti sono in media minori rispetto alle altre imprese del settore. E per riconoscere un'impresa in odore di criminalità organizzata basta guardare lo stato patrimoniale: le risorse a disposizione vengono dai mercati illeciti senza ricorrere all'indebitamento bancario. Oppure alla composizione societaria: nella maggior parte dei casi si tratta di srl guidate da prestanome scelti tra i parenti. Il settore immobiliare è il prediletto, il 42,4% sono abitazioni seguite dai terreni (25,6%). La criminalità organizzata punta alle imprese, soprattutto alle srl, nel 46,6% dei casi. Questo è legato alla facilità di costituzione (un capitale sociale di partenza relativamente basso, soli 10mila euro) e dal vantaggio dettato dalla limitazione delle responsabilità patrimoniali. I settori più appetibili sono il commercio, all'ingrosso e al dettaglio (29,4%) e le costruzioni (28,8%). Seguono a distanza alberghi e ristoranti.
Il rapporto ‘Gli investimenti delle mafie’ ha visto coinvolti una decina tra professori, economisti e analisti al lavoro, cinque università più un centro di ricerca, tutti impegnati a dare vita ad uno studio, condotto per tutto il 2012, che si concluderà il prossimo mese di aprile, che parte dall'analisi degli investimenti delle mafie italiane ed è basato sulle banche dati dei beni confiscati che, tra il 1983 e il 2011, in totale sfiorano le 20mila unità (19.987 beni).