
di Anna Maria Colonna – È sera. Il momento ideale per ripercorrere il giorno prima che la notte prenda il sopravvento impossessandosi del cielo. L’Aquila vista all’imbrunire dal cinquecentesco Forte spagnolo lascia con il fiato sospeso. Il silenzio, quassù, a quest’ora, è interrotto solamente dalla voce della Natura e da qualche rumore lontano. La città si adagia, stanca, su un letto di terra e di sogni. La luce del sole cede il posto a quella dei lumicini, che giocano con le ombre delle strade e con i fari delle macchine. L’aria fresca accarezza l’immensità dei monti, che si stringono in un insolito abbraccio. Il paesaggio sembra puntellato da una miriade di stelle.

L’acqua. Protagonista indiscussa di queste grotte. Silenziosa, violenta, limpida, impetuosa. È lì e da secoli si lascia guidare nei suoi guizzi e nei suoi salti. Il lungo lavorio di un fiume sotterraneo ancora vivo ha prodotto nella cavità carsica – e ancora produce – capolavori di rara bellezza. Lo stesso fiume che a Stiffe torna a «riveder le stelle». Da L’Aquila a San Demetrio Ne’ Vestini, Comune che ospita le cavità, il tragitto conta una manciata di chilometri. Il paesaggio è incantevole e incantato. Una ripida parete rocciosa sovrasta l’ingresso alle grotte, mentre intorno, sullo sfondo, prevalgono le montagne. Prima di entrare, indosso la felpa. La temperatura cala improvvisamente all’interno. A piccoli passi, mi dirigo verso la luce fioca di un ulteriore tesoro d’Abruzzo. E subito si percepisce la presenza dell’acqua. In alcuni tratti cade goccia dopo goccia, formando stalattiti e stalagmiti. In altri scorre furiosa.

Il fiume accompagna l’intero percorso per poi gettarsi a capofitto nel vuoto in una delle cavità più ampie. Due cascate sotterranee mi fanno credere di essere fuori dal mondo, in un altrove immaginario. È questione di attimi. La guida spiega che nella stagione invernale la portata d’acqua è maggiore e lo spettacolo irripetibile.