E’ stato pubblicato il Rapporto Istat sul lavoro che riporta i dati trimestrali di tutte le regioni italiane e nel vedere che il tasso di disoccupazione dell’Abruzzo è sceso al 10,7% nel secondo trimestre 2013, con una flessione dello 0,8% rispetto al trimestre precedente, dello 0,2% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno e dello 0,1% rispetto all’intero 2012 (10,8%) mi è sembrata una buona notizia, considerando che il dato abruzzese è al di sotto della media nazionale, pari al 12%.
E’ vero che si è ridotto nel secondo trimestre 2013 rispetto allo stesso periodo del 2012 il numero degli occupati, passando da 507 mila a 485 mila, ovvero 22 mila posti di lavoro in meno.
Questo fenomeno però non ha interessato solo l’Abruzzo, le Marche hanno perso 26 mila posti di lavoro, il Lazio 74 mila, l’Emilia 31 mila. La crisi economica c’è e per entrare nello specifico, secondo Unimpresa in cinque anni di crisi in Italia sono andati persi quasi un milione di posti di lavoro circa 200mila posti di lavoro l’anno e l’Abruzzo facendo parte dell’Italia e dell’ Europa, non può non risentire della crisi, ma sta dimostrando di saperla tollerare meglio di altre regioni.
Negli ultimi anni in Italia sono aumentati anche i giovani scoraggiati e delusi che si stanno lasciando andare, i Neet (Not in Education, Employment or Training), ragazzi tra i 15 e i 29 anni che non studiano, non lavorano, non sono in formazione e – ormai, dopo molti tentativi – non cercano più neppure un lavoro. Nel nostro Paese nel 2012 sono oltre 3 milioni e 300 mila e rappresentano una quarto della popolazione della medesima fascia d’età, in Abruzzo sono 62 mila unità, la stessa identica quantità presente anche nelle Marche. I NEET dal 2008 al 2012 a livello nazionale sono aumentati di oltre mezzo milione (556 mila per la precisione), una crescita del 16,7% quasi tutta da imputare all’incremento dei disoccupati (463 mila in più, +36,7%).
In Abruzzo, dal 2008 al 2012 sono aumentati di 10 mila unità, una crescita del 16,20% uguale alla media nazionale (16,70%) e inferiore di gran lunga alla crescita che si è registrata al Nord-Est (34,50%), al centro (+27,50%) e al Nord-Ovest (22,80%). In particolare, in Veneto la variazione è stata del 35% ed in Emilia Romagna si è sfiorato il +37%. Rispetto al 2011 siamo l’unica regione insieme a Campania, Puglia e Lazio che mostrano una riduzione dei Neet.
La situazione nel Mezzogiorno rimane quella piu’ critica: in questa area e’ Neet un giovane su tre (contro uno su sei nel Nord e uno su cinque nel Centro).
La questione dell’elevata presenza di NEET è stata aggravata dalla crisi ma è principalmente strutturale, pertanto destinata a non migliorare se le condizioni economiche rimarranno di stagnazione o peggio ancora ulteriormente recessive.
Questo è per dire che ci sono gli scoraggiati, quelli che non vanno più alla ricerca di un lavoro ma non sono solo in Abruzzo, sono in tutte le regioni italiane e l’aumento maggiore si sta avendo al nord.
E’ anche vero che con il tasso di disoccupazione di oggi l’Abruzzo torna indietro di 10 anni, per l’esattezza al 2000 ma è una realtà che stanno affrontando tutte le Regioni, addirittura ce ne sono alcune come Lombardia, Marche, Emilia e Toscana che non hanno mai toccato nella loro storia un tasso di disoccupazione così alto come quello che riportano oggi. L’Abruzzo sta reagendo meglio di altri territori a questa profonda recessione e questo lo si deve a due fattori. Il primo, l’intraprendenza dei nostri imprenditori che, con coraggio, hanno sposato l’idea di non chiudersi, di isolarsi. Il secondo, la lungimirante azione della Regione che ha voluto con ostinazione investire nell’innovazione, nella ricerca; che è stata vicina alle aziende; che ha sostenuto l’assunzione di giovani e donne con progetti mirati; che ha affiancato agroalimentare e turismo nella conquista dei mercati esteri.
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Andare per alcuni aspetti meglio della media nazionale non significa essere in salute, visto che il dato nazionale è che abbiamo superato i 3 milioni di disoccupati e abbiamo perso più di ½ milione di posti di lavoro in 1 anno.
Essere per molti versi la prima regione del Mezzogiorno non consola, visto che il Mezzogiorno non sta convergendo verso il Centro-Nord, ma accentuando la divergenza: siamo in testa a un gruppo che precipita.
Il fortino dei 500.000 occupati, assediato nei 4 e più anni di crisi, ha subito una prima grave frana, perdendo 22.000 occupati (da 507.000 a 485.000). È persino più grave dei 25.000 posti di lavoro persi nel 2009, perché il dato occupazionale del 2008 rappresentava un picco anomalo di occupati, mentre oggi si incide la carne viva dell’occupazione strutturale abruzzese.
I circa 500.000 occupati abruzzesi, oggi 485.000, erano già stati indeboliti qualitativamente, prima di subire la perdita quantitativa: il rapporto tra assunzioni precarie e stabili è diventato di 80 a 20 (era 60-40 prima della crisi). Più precari, e più facili da licenziare.
La piccola discesa nel numero dei disoccupati (da 62.000 a 58.000) non deve far dimenticare che con la crisi, i disoccupati sono aumentati da oltre 30.000 a oltre 60.000, per cui il lieve aggiustamento al ribasso non cancella una crescita impetuosa del numero delle persone in cerca di lavoro.
Bisogna inoltre capire che questi 4.000 disoccupati in meno non sono più nei ranghi dei disoccupati non perché abbiamo trovato lavoro, ma perché hanno smesso di cercarlo: si veda la discesa del tasso di attività e del tasso di occupazione.
Come abbiamo tante volte invitato a fare, i dati su occupati e disoccupati vanno letti anche tenendo presenti altri aspetti, come la cassa integrazione, indicativi della reale portata del disagio occupazionale. La mancata copertura della cassa in deroga e i ritardi pesanti nella sua erogazione l’hanno svuotata, non certo in direzione del lavoro.
Abbellire i dati non serve a migliorali. È necessaria consapevolezza della situazione reale, e capacità di intervento. Il governo nazionale non sta affrontando il problema numero 1: l’eccesso di tassazione sul lavoro e sui lavoratori. Ha inoltre sbagliato ad azzoppare la cassa in deroga, senza mettere in campo alcuno strumento alternativo. Il governo regionale, con il venire meno dello strumento assistenziale della cassa in deroga, si conferma privo di politiche attive del lavoro (incontro di domanda e offerta di lavoro). Visto il valore, confermato, del settore industriale nella nostra regione, anche dal punto di vista occupazionale, è urgente varare una politica industriale regionale, a partire da vertenze come Honda, Micron, Kimberly, ATR; spendere meglio i fondi europei e nazionali (il 6, finalmente è stata convocata una riunione con le parti sociali sul pacchetto regionale degli investimenti pubblici); rendere strutturale la politica di riduzione/modulazione dell’Irpef regionale.